Soldato morto per uranio Vittima del dovere

Pubblicato il 17 novembre 2016

Le Sezioni unite civili di Cassazione hanno definitivamente confermato una statuizione con cui i giudici di merito avevano riconosciuto i benefici previsti dalla Legge n. 266/2005 ai genitori e agli eredi di un militare ventisettenne che era deceduto per una rarissima forma tumorale, riscontratagli dopo essere stato più volte impiegato in operazioni in zone di guerra (Bosnia e Somalia).

Diritto soggettivo Giurisdizione al giudice ordinario

I giudici di Cassazione, in particolare, hanno rigettato la doglianza del ricorrente Ministero della Difesa secondo cui era da escludersi la sussistenza di un diritto soggettivo con la conseguenza che, essendo deceduto un militare in carriera, la controversia fosse da ritenere di spettanza del giudice amministrativo.

La normativa di cui alla Legge n. 266/2005 (articolo 1, commi 562-565), in particolare, estende i benefici previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo a tutte quelle che vengono definite “vittime del dovere”.

Quello delineato – precisa la Corte nella sentenza n. 23300 del 16 novembre 2016 – è un diritto soggettivo e non un interesse legittimo, in quanto, in presenza dei requisiti previsti, i soggetti indicati o i loro familiari superstiti, hanno una posizione giuridica soggettiva nei confronti della pubblica amministrazione, priva di discrezionalità in ordine alla decisione di erogare o meno le provvidenze e in ordine alla misura delle stesse.

E come sottolineato anche dalla dottrina, si tratta di un diritto di natura prevalentemente assistenziale volto a prestare un ausilio a chi abbia subito un’infermità o la perdita di una persona cara a causa della prestazione di un servizio in favore di pubbliche amministrazioni da cui siano derivati particolari rischi.

Ne consegue che la competenza , in detta materia, sia regolata dall’articolo 442 del Codice processuale civile e la giurisdizione spetti al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro e dell’assistenza sociale.

Nesso causalità

Respinto dalla Cassazione anche il secondo motivo di doglianza del ricorrente dicastero che lamentava di essere stato condannato sull’erroneo presupposto della non contestazione di quanto affermato dagli attori circa il nesso di causalità tra la malattia e l’esposizione ad agenti patogeni, contestazione che invece, secondo il ministero, era stata effettuata richiamando il giudizio del comitato di verifica.

Secondo la Corte, sul punto, i giudici di merito avevano, per contro, sviluppato una motivazione articolata ed adeguata che prescindeva dalla contestazione citata.

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