La Corte di giustizia si è pronunciata in tema di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione europea, rispondendo a due domande di pronuncia pregiudiziale presentate nell’ambito di controversie che vedevano contrapposti, rispettivamente, un cittadino greco e un cittadino italiano, al Ministro degli Interni del Regno Unito, in merito a decisioni di allontanamento che li avevano riguardati e che erano state disposte a seguito di due condanne penali emesse nei loro confronti.
Le domande vertevano sull’interpretazione dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/CE, relativa, appunto, al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
Secondo i giudici europei – sentenza del 17 aprile 2018, cause riunite C-316/16 e C-424/16 - l’articolo di riferimento deve essere letto nel senso che il beneficio della protezione contro l’allontanamento dal territorio prevista in detta disposizione è subordinato alla condizione che l’interessato disponga di un diritto di soggiorno permanente, ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, della stessa direttiva.
Inoltre, sempre ai sensi dell’articolo 28 citato, nel caso di un cittadino dell’Unione che sconta una pena privativa della libertà e nei cui confronti sia stata adottata una decisione di allontanamento, la condizione di aver “soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni", sancita in tale disposizione (paragrafo 3, lettera a – ai sensi della quale il cittadino Ue non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni), può essere soddisfatta purché una valutazione complessiva della situazione dell’interessato, che tenga conto di tutti gli aspetti rilevanti, “induca a concludere che, nonostante detta detenzione, i legami di integrazione che uniscono l’interessato allo Stato membro ospitante non siano stati rotti”.
In particolare – continua la Corte - tra questi aspetti vanno ricompresi: la forza dei legami di integrazione creati con lo Stato membro ospitante prima che l’interessato fosse posto in stato di detenzione, la natura del reato che ha giustificato il periodo di detenzione scontato e le circostanze in cui è stato commesso nonché la condotta dell’interessato durante il periodo di detenzione.
Infine, la questione se una persona soddisfi la condizione suddetta, “deve essere valutata alla data in cui viene adottata la decisione iniziale di allontanamento”.
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