Società di comodo al rebus del silenzio

Pubblicato il 23 aprile 2007

Come più volte ricordato, le società, che non possono far valere le cause di esclusione previste dalla legge n. 724/94 sull’applicazione delle norme antielusive, hanno come unica possibilità per evitare l’applicazione della disciplina sulle società di comodo quella di presentare apposita istanza di interpello alla Direzione regionale delle Entrate. Con la suddetta istanza si richiede preventivamente la disapplicazione delle disposizioni antielusive sulle società di comodo dimostrando la ricorrenza di situazioni oggettive che abbiano reso impossibile al contribuente il conseguimento del reddito nella misura minima prevista dalla legge. Secondo le stesse modalità fissate dal DM 259/98, che disciplina la procedura per l’interpello disapplicativo, il Direttore regionale deve rispondere al contribuente non oltre 90 giorni dopo la presentazione dell’istanza, con provvedimento da ritenersi definitivo. I dubbi sorgono nel caso di mancata risposta nei termini indicati: né la legge né il decreto n. 259/98 hanno, infatti, disciplinato la procedura da seguire qualora si formi il “silenzio”. Secondo alcuni, in questa circostanza dovrebbe trovare applicazione la disciplina generale del procedimento amministrativo e, in particolare, il principio del silenzio-assenso (L. n. 241/90). Di parere contrario sono coloro che vedono come oggetto dell’interpello non l’attività svolta, ma l’accertamento di una determinata situazione che ha reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi stabiliti dalla legge. In questo secondo caso, la mancata risposta all’istanza di interpello non può essere qualificata né come silenzio-assenso, né come silenzio-rifiuto. Pertanto, al verificarsi della circostanza, l’ufficio potrà non riconoscere la ricorrenza delle “situazioni oggettive” prospettate dal contribuente e richiedere gli importi minimi stabiliti dalla legge senza, però, comminare le relative sanzioni, in ossequio ai principi di tutela dell’affidamento e della buona fede (art. 10, comma 2, Statuto dei diritti dei contribuenti). Quest’ultima soluzione sembrerebbe quella da preferirsi da parte dell’Amministrazione finanziaria.

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