In materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, è assegnata priorità alle misure di protezione collettiva rispetto a quelle di protezione individuale, specialmente per quanto riguarda le lavorazioni in “quota” in base all’art. 111 del D.Lgs. 81/2008 (T.U. Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro).
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18137 del 31 agosto 2020, cassando la sentenza della Corte Territoriale che aveva accolto il ricorso dei genitori di un lavoratore deceduto a seguito di una caduta da 12 metri.
Il caso riguarda un dipendente che, operando sul tetto di un capannone industriale della ditta committente, precipitava al suolo poiché si era sganciata la linea vita di ancoraggio. Secondo i giudici di merito, l’evento si era realizzato per una condotta imprevedibile e azzardata da parte del lavoratore, il quale è stato dotato di adeguati ed efficienti dispositivi di protezione individuale (Dpi), come la cintura e imbragatura, a tutela appunto del pericolo di caduta dall’alto.
Dunque, la richiesta del ricorrente non ha trovato accoglimento in sede d’Appello, poiché i giudici hanno sostenuto che il riferimento normativo al criterio di priorità lascia al soggetto responsabile un margine di apprezzamento legato a una serie di fattori, fra cui l’opportunità di evitare la creazione e la diffusione di ulteriori rischi connessi alla predisposizione delle misure collettive e l’esigenza datoriale di contenere costi e tempi.
Non è dello stesso avviso, però, la Corte di Cassazione che evidenzia il contrasto della decisione dei giudici di merito con l’art. 15 del D.Lgs. n. 81/2008. Tale norma, si ricorda, elenca le misure generali di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. In particolare, al comma 1, lett. i), del predetto articolo è stabilito che sia assegnata priorità alle misure di protezione collettiva rispetto a quelle di protezione individuale, criterio da seguire con particolare riguardo nelle lavorazioni in “quota” in base all’art. 111 del Testo Unico.
La Corte di Cassazione, quindi, accoglie il ricorso dei genitori della vittima e ribalta la sentenza di secondo grado. Sul punto, gli ermellini affermano che i Dpi vanno impiegati se i rischi non possono essere evitati o ridotti con i mezzi di protezione collettiva, nonché la possibilità di adottare misure di sicurezza equivalenti ed efficaci, in caso di esecuzione di lavori particolari per cui è richiesta l’eliminazione temporanea di un dispositivo di sicurezza collettiva, terminato il quale sia disposto l’immediato ripristino delle misure collettive.
In definitiva, per la Suprema Corte appare assolutamente chiaro che nei lavori sui tetti sia obbligatoria la predisposizione di misure di protezione collettiva. Unica eccezione si ha qualora la realizzazione di tali misure risulti incompatibile con lo stato dei luoghi o impossibile per altre ragioni tecniche. In tali casi, però, la prova che non possono essere utilizzati misure di sicurezza collettiva grava sul datore di lavoro, nonché sui soggetti titolari di posizioni di garanzia.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".