E' costituzionalmente illegittimo l'art. 517 c.p.p., nella parte in cui, in caso di contestazione in dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato, relativamente al reato cui attiene la nuova contesttazione.
E' quanto dedotto dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 139 depositata il 9 luglio 2015, circa il quesito di costituzionalità sollevato – in riferimento all'art. 517 c.p.p. - dal Tribunale di Lecce, investito del processo penale nei confronti di un imputato per i reati di violenza sessuale in danno della figlia minorenne della convivente, nonché di violenza sessuale e maltrattamenti nei confronti della moglie.
Nel corso del dibattimento, il p.m. aveva modificato ed integrato l'imputazione originaria, relativamente ai reati commessi in danno alla minore, contestando la circostanza aggravante di cui all'art. 609 ter c.p.
A fronte di ciò, la difesa dell'imputato aveva chiesto che il processo fosse definito con rito abbreviato per tutte le imputazioni o, in subordine, per i soli reati oggetto delle nuove contestazioni; richiesta tuttavia respinta.
Il Tribunale rimettente, nel sollevare la questione alla Consulta, evidenziava come la decione de quo fosse lesiva del diritto alla difesa ex art. 24 Cost. (nonché del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost), laddove consentiva che a seguito di un errore della pubblica accusa e del conseguente ritardo nel contestare l'aggravante, all'imputato fosse precluso l'accesso ai riti speciali.
La Corte Costituzionale, nell'accogliere la censura, ha riscontrato (anche sulla scia di precedenti pronunce di legittimità) un effettivo pregiudizio del diritto di difesa, connesso all'impossibilità di valutare, da parte dell'imputato, la convenienza del rito alternativo in conseguenza ad una variazione sostanziale dell'imputazione, intesa ad emendare precedenti errori ed omissioni del p.m. nell'apprezzamento dei risultati delle indagini preliminari. Così come effettivamente si riscontra – a detta della Consulta – una violazione del principio di eguaglianza, correlata alla discriminazione cui l'imputato si trova esposto a seconda della maggiore o minore esattezza di tale apprezzamento.
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