Con ordinanza n. 18192 depositata il 16 settembre, la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ha respinto il ricorso dell'amministratore di una società fallita, avverso la conferma della dichiarazione di fallimento.
In particolar modo, il ricorrente denunciava la violazione della legge fallimentare sotto il profilo della sussistenza dei requisiti prescritti per la pronuncia di fallimento, evidenziando che nel caso de quo, l'attivo patrimoniale era nettamente superiore al passivo, se si escludevano i debiti non scaduti.
Nel respingere la censura, la Cassazione ha chiarito che il significato oggettivo dell'insolvenza – ai fini della dichiarazione di fallimento ex art. 5 Legge fall. – deriva da una valutazione complessiva circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) allo svolgimento dell'attività economica.
Si identifica, in altre parole, con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa e si esprime con l'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutti, quella di estinzione dei debiti), oltre alla impossibilità di ricorrere al credito in condizioni normali, senza cioè subire rovinose decurtazioni del patrimonio.
Se sussistono siffatte condizioni – prosegue ancora la Corte – la declaratoria di fallimento non è esclusa dalla circostanza che, come nel caso di specie, l'attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti.
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