Nel nostro ordinamento, a differenza che nel diritto dell’Ue, non sussiste, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale posto in capo all'Amministrazione finanziaria che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, obbligo comportante, in caso di violazione, l'invalidità dell'atto.
Conseguentemente, in tema di tributi "non armonizzati", si ha obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidità dell'atto, esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali tale obbligo risulti specificamente sancito.
Differentemente, in tema di tributi "armonizzati", per i quali il diritto dell’Unione europea ha diretta applicazione, la violazione dell'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'Amministrazione comporta, in ogni caso, anche in campo tributario, l'invalidità dell'atto.
E ciò, purché, in giudizio, il contribuente assolva l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e “che l'opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.
E’ questo il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite civili di Cassazione nel testo della sentenza n. 24823, depositata il 9 dicembre 2015, dopo un ampio excursus sui vari orientamenti giurisprudenziali in materia e sulla relativa disciplina positiva.
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