La sentenza n. 209/22/10 della Ctr di Bari – contrariamente alle recenti prese di posizione dei giudici della Corte di Cassazione e dell’Esecutivo – ha fissato un importante principio secondo cui gli uffici locali competenti in materia di accertamento possono richiedere al presidente della Ctp, con istanza motivata, l’adozione di misure cautelari. È compito del giudice tributario accertare la presenza di violazioni fiscali gravi, da cui può scaturire il pericolo di perdere la garanzia del connesso credito erariale, per giustificare l’adozione di misure cautelari sul patrimonio del contribuente accertato (esempio: sequestro conservativo). In caso di mancanza dei presupposti di legge, l’autorizzazione all’adozione di misure cautelari è, invece, revocata.
Con la sentenza in oggetto, la Commissione regionale ha accolto l’atto di appello proposto da una società contribuente ed ha disposto la revoca dell’autorizzazione a procedere a sequestro conservativo in danno della stessa, a fronte della mancanza dei presupposti prescritti dalla legge. Il riferimento normativo è all’articolo 22, comma 1, del decreto legislativo n. 472/1997, secondo cui le misure cautelari presuppongono - per la loro adozione - la contestuale presenza del fumus boni iuris e del periculum in mora.
La mancanza dell’effettivo pericolo constatata dal giudice adito, che non deve solo limitarsi a recepire le conclusioni del Pvc ma deve anche valutare la ragionevolezza dei rilievi in esso esposti, non può far scattare le misure cautelari nei confronti del contribuente. È onere dell’ufficio accertatore appurare concretamente il pericolo della perdita della garanzia del credito vantato.
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