Scudo fiscale: ancora precisazioni su alcuni aspetti particolari della sanatoria

Pubblicato il 19 ottobre 2009

Lo scudo fiscale offre a diversi soggetti (persone fisiche, società semplici, enti non commerciali, compresi trust e associazioni professionali residenti in Italia, imprenditori individuali in contabilità ordinaria e lavoratori autonomi che detengono attività all’estero) la possibilità di regolarizzare la loro situazione fiscale e contributiva in caso di violazione della disciplina sul monitoraggio fiscale, presentando una dichiarazione di emersione in via riservata ad un intermediario autorizzato e, come si sa, pagando una imposta straordinaria pari al 5% del valore delle attività irregolarmente detenute all’estero.

Dalla lettura della circolare n. 43/E/2009, considerata esplicativa e definitiva sulla questione dello scudo fiscale, si evince che l'emersione delle attività detenute al di fuori del territorio dello Stato è ammessa non soltanto nel caso di possesso diretto delle attività da parte del contribuente, ma anche nell'ipotesi di attività intestate a società fiduciarie o possedute dal contribuente tramite interposta persona. Viene fatto esplicito riferimento anche ai casi in cui le attività siano coperte da trust.

Nel documento di prassi si opera una semplice distinzione tra trust fittiziamente interposti e trust reali. Il presupposto per l’utilizzo dello scudo fiscale nel caso di trust è che il contratto sia considerato residente in Italia. Nel caso in cui, invece, si tratti di trust “simulato”, deve valere il presupposto secondo cui è il soggetto nascosto dal trust che deve essere residente in Italia.

In altri termini, il Fisco mira ad evidenziare chi si nasconde dietro il trust: quando il trust è ritenuto fittizio (cioè una entità fittiziamente interposta rispetto al reale beneficiario economico dell’operazione) l'emersione delle attività detenute irregolarmente all’estero deve essere operata dal soggetto che effettivamente si nasconde dietro al trust fittizio. Non senza difficoltà pratiche, soprattutto se si tiene conto del fatto che la legge che regola il trust è una legge straniera, per cui si potrebbe avere a che fare con molte variabili diverse a seconda della legge regolatrice di questo istituto che viene adottata. Per esempio, è facile comprendere come al di là della definizione anglosassone di trust - che vorrebbe vedere fondato l’istituto su un atto di fiducia verso il trustee e sulla sua indipendenza rispetto al disponente e ai beneficiari - molte volte nascono forme di trust diversi (revocabili, autodichiarati, apparenti), che indipendentemente dal fatto che trovino regolamentazione o meno nella legge che disciplina il trust possono, di fatto, spingere il fisco italiano a pretendere di conoscere chi si nasconde dietro questo istituto giuridico.

Tra le altre precisazioni contenute nella circolare agenziale sullo scudo fiscale vi è anche quella secondo cui anche le imprese estere controllate o collegate a un soggetto residente in Italia possono effettuare il rimpatrio o la regolarizzazione. In questo caso si chiarisce che l'accesso allo scudo è previsto in capo alla Cfc, mentre a usufruire degli effetti dell'emersione è, in qualità di interponente detentore del reale "dominio" delle attività rimpatriate o regolarizzate, il contribuente residente nel nostro Paese. Da un punto di vista procedurale, dunque, ipotizzando il caso che la Cfc detenga attività finanziarie, si deve procedere in questo modo:

- la società estera presenta la dichiarazione riservata a un intermediario italiano che dovrà ricevere in deposito le attività provenienti dall’estero;

- l’intermediario apre un dossier segretato a nome della Cfc, ma fiscalmente sarà trattato come se fosse della persona fisica “partecipante”. Gli effetti dello scudo si producono in capo ai partecipanti della Cfc. Successivamente, si procederà con lo scioglimento della Cfc.

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