Gli scatti di anzianità costituiscono un diritto indisponibile.
In tal senso si è espressa la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 25315 dell’11 ottobre 2018, a proposito di alcuni lavoratori che, in sede di conciliazione amministrativa, avevano rinunciato agli scatti di anzianità.
Per gli Ermellini, il regime di eventuale mera annullabilità degli atti contenenti rinunce del lavoratore a diritti garantiti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, previsto dall'art. 2113 c.c., riguarda soltanto le ipotesi di rinuncia ad un diritto già acquisito, mentre in caso di rinuncia all'incidenza dell'anzianità maturata ad una certa data del rapporto di lavoro sui diritti, derivanti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, ancora non acquisiti nel patrimonio del rinunciante, la rinuncia viene ad assumere il valore di un atto diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata in maniera inderogabile dalle norme di legge o di contratto collettivo, e ciò ne determina la nullità a norma dell'art. 1418 c.c., o l'invalidità o l'inefficacia a norma dell'art. 2077 c.c. (ex multis: Cass. 8 novembre 2001, n. 13834; Cass. 11 marzo 1983 n. 1846; Cass. 28 dicembre 1983 n. 7633; Cass. 8 luglio 1988 n. 4529; Cass. 19 gennaio 1999 n. 477 nonché Cass. 26 marzo 2012, n. 4811).
Quindi, eventuali verbali di conciliazione possono precludere ai lavoratori la possibilità di rivendicare differenze retributive per scatti di anzianità maturati in base all’anzianità pregressa nel periodo antecedente l’assunzione ma non impedisce loro di esercitare il diritto di avvalersi di tale anzianità al fine del computo degli scatti di anzianità maturati dopo l'assunzione, trattandosi di diritti che non erano ancora maturati al momento delle conciliazioni.
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