Le sanzioni pecuniarie amministrative previste per le violazioni delle norme tributarie hanno carattere punitivo e, come tali, non si trasmettono agli eredi del contribuente.
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato dagli eredi di un contribuente contro la sentenza con cui la Commissione tributaria regionale si era pronunciata relativamente a due avvisi di accertamento ICI (ora IMU) originariamente notificati al loro de cuius.
Quest’ultimo aveva impugnato i detti avvisi davanti alle Commissioni tributarie ma non aveva ottenuto ragione in nessuno dei due gradi del giudizio. Nelle more della fase di appello, inoltre, il contribuente era deceduto.
Successivamente, i suoi eredi avevano adito la Corte di legittimità, avanzando, tra gli altri motivi, una censura riferita alle sanzioni applicate, dagli stessi ritenute non dovute.
Doglianza, questa, condivisa dalla Suprema corte, la quale, con ordinanza n. 6500 del 6 marzo 2019, ha ricordato quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di sanzioni pecuniarie amministrative previste per le violazioni delle norme tributarie.
Dette sanzioni – si legge nel testo della decisione - hanno carattere afflittivo, di tal ché devono inquadrarsi nella categoria dell’illecito amministrativo di natura punitiva, disciplinato dalla Legge n. 689/1981, essendo commisurate alla gravità della violazione e alla personalità del trasgressore.
Ne consegue che ad esse si applica il principio generale sancito dall’articolo 7 della menzionata Legge, secondo cui l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi.
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