La sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione, prevista per i casi più gravi di illeciti di norma sanzionati con la censura, trova applicazione necessariamente nel minimo di due mesi.
Questo anche se la norma deontologica di riferimento non fissi espressamente una misura minima della sospensione.
E’ quanto evidenziato dalle Sezioni Unite civili di Cassazione nel fornire la corretta interpretazione dell’articolo 22, comma 2, lettera b) del Codice deontologico Forense.
Nella specie, i giudici di Piazza Cavour - sentenza n. 13237 del 28 maggio 2018 - hanno confermato la decisione con cui la Corte d’appello aveva rideterminato, in due mesi di sospensione, la sanzione disciplinare irrogata ad un avvocato per l'illecita condotta dallo stesso tenuta nei confronti di un collega.
La Suprema Corte ha, in particolare, precisato che il disposto della lettera b), comma 2, dell’articolo 22 citato, nella parte in cui prevede che “nei casi più gravi, la sanzione disciplinare può essere aumentata, nel suo massimo…fino alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale non superiore a un anno, nel caso sia prevista la sanzione della censura”, non si presta ad essere inteso nel senso che non vi sia un limite minimo per la sospensione – per come preteso dal professionista ricorrente – posto che, per contro, detto limite minimo deve individuarsi nella misura di almeno due mesi.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".