La tempestività della contestazione disciplinare va valutata non muovendo dall’epoca dell’astratta conoscibilità dell’infrazione da parte del datore di lavoro, bensì dal momento in cui quest’ultimo ne acquisisca in concreto piena conoscenza e, a tal fine, non bastano meri sospetti (ex multis, Cass. n. 26304/14; Cass. n. 12577/02; Cass. n. 12621/2000).
Questo è quanto è stato ribadito dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 10356 del 19 maggio 2016, a proposito di un licenziamento intimato a seguito di una contestazione disciplinare attivata dopo ben 18 mesi dalla scoperta degli illeciti commessi dal dipendente, un agente liquidatore che aveva agevolato un gran numero di sinistri seguiti dal medesimo avvocato.
Tuttavia nel caso di specie erano stati necessari 18 mesi per svolgere le doverose indagini che si erano rivelate complesse perché relative alla ricostruzione di vicende protrattesi nell'arco di un biennio e che avevano visto coinvolti, a vario titolo, un gran numero di soggetti.
In realtà, come ben chiarito dagli Ermellini, bisogna mantenere ben fermo il principio secondo cui non basta il mero sospetto per la contestazione ancor prima di conoscere l'esito delle verifiche in corso: diversamente si costringerebbe l'azienda ad anticipare la contestazione senza ancora disporre dei dati conoscitivi per valutare le giustificazioni eventualmente offerte dal lavoratore.
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