La Suprema Corte di cassazione, con sentenza numero 10198 del 27 aprile 2018, enuncia il seguente principio di diritto: “In tema di definizione agevolata ex art. 6 del d.l. n. 193 del 2016, conv. con modif. nella l. n. 225 del 2016, la rinuncia al giudizio da parte del contribuente ai sensi del comma 2 della menzionata disposizione costituisce un'eccezione alla previsione di cui all'art. 391, secondo comma, cod. civ., ed implica la necessaria compensazione delle spese di lite”.
Spiega la Corte che non è articolo 391 del codice di procedura civile – che prevede la possibilità che le spese siano a carico di chi rinuncia al giudizio - a regolare il caso di specie, poiché con la rottamazione l'Agenzia delle entrate o l'Avvocatura dello Stato non hanno espressamente accettato la rinuncia al ricorso: nella definizione agevolata il debitore indica la pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce e assume l'impegno a rinunciare agli stessi.
Dunque non si applica la norma recata dall'articolo citato: “Il decreto o la sentenza che dichiara l'estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese... La condanna non è pronunciata, se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale”.
Nell'ambito della rottamazione, pertanto:
Il carico delle spese di lite si tradurrebbe in un aggravio di costi della definizione agevolata rispetto a quanto voluto dalla disposizione.
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