Nel rito lavoro, la violazione del termine a comparire non minore di 25 giorni che, a norma dell’art. 435, comma 3, del Codice di procedura civile deve intercorrere tra la data di notifica dell’atto di appello e quella dell’udienza di discussione, non comporta l’improcedibilità dell’impugnazione, come nei casi di notifica omessa o inesistente.
In detta ipotesi, infatti, si determina una nullità sanabile ex tunc per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione della notifica disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c.
E’ il principio ribadito dalla Corte di cassazione nel testo dell’ordinanza n. 9199 del 20 maggio 2020, in tema di inosservanza del termine a comparire.
La Suprema corte, nel dettaglio, ha annullato la decisione con cui i giudici di merito avevano dichiarato l’improcedibilità di un appello, nell’ambito di un procedimento per l’accertamento di un’omissione contributiva asseritamente addebitata ad una società datrice nei confronti di una dipendente.
La Corte d’appello, in difetto del rispetto del termine di 25 giorni intercorrente tra la data di notifica dell’atto di appello e quella dell’udienza di discussione e considerato che non ricorressero i presupposti applicativi per la concessione di un termine per la rinnovazione della notificazione ex art. 291 c.p.c., aveva ritenuto che l’appello fosse improcedibile.
Ne era conseguito il ricorso in Cassazione della società datrice, secondo cui, per contro, poiché la notifica non era né omessa né inesistente, il vizio di nullità della medesima era da considerare sanabile e se ne doveva disporre la rinnovazione.
Doglianza, questa, ritenuta fondata dagli Ermellini, per i quali non meritava conferma l’interpretazione formalistica della norma processuale in questione adottata dalla Corte territoriale.
Da qui l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio per un nuovo esame di merito.
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