Affinché il datore di lavoro possa essere condannato, da sei mesi a due anni di reclusione, per non aver versato le relative ritenute Irpef in favore dei propri dipendenti, superando l’importo limite di 150.000 euro previsto dall’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000, novellato in seguito dall’art. 7 del D.Lgs. n. 158/2015, è necessaria la prova del rilascio ai dipendenti delle CU (Certificazioni Uniche). A tal fine, quindi, non è sufficiente il pagamento degli stipendi e la presentazione del mod. 770.
Così hanno deciso i giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36614 del 29 agosto 2019.
La versione riformulata dell’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000 prevede la “reclusione da sei mesi a due anni per chiunque non versi entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a 150.000 euro per ciascun periodo d'imposta”.
I giudici della Suprema Corte, ribaltando la pronuncia sia di primo che secondo grado di giudizio, accolgono in parte il ricorso del datore di lavoro. Nel caso di specie, gli ermellini affermano che ai fini della condanna per il mancato pagamento delle ritenute previdenziali è necessaria la prova del rilascio delle CU da parte dell'imprenditore ai suoi dipendenti, poiché non è sufficiente il pagamento degli stipendi e la presentazione del modello 770.
Sul punto, ricordano i giudici di legittimità, i sostituti d’imposta utilizzano la CU per attestare i redditi di lavoro dipendente e assimilati, i redditi di lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi nonché i corrispettivi derivanti dai contratti di locazioni brevi. La certificazione va rilasciata:
Dunque, se è vero che la presentazione del modello 770 può costituire mero indizio del rilascio delle certificazioni ai sostituti, è altrettanto vero che, ai fini della prova, occorrono più indizi gravi, univoci e concordanti, al fine di dare certezza alla attribuibilità del fatto illecito a un comportamento concludente dell'imputato.
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