La Cassazione ha accolto il ricorso promosso dal promissario acquirente di un immobile a cui i giudici di merito avevano escluso il diritto ad ottenere il doppio della caparra versata, per aver agito con un'azione di risoluzione ordinaria, non disponendo nemmeno la restituzione della somma versata a titolo di caparra confirmatoria.
Secondo la Suprema corte, anche se la Corte d’appello aveva correttamente qualificato la domanda avanzata come di risoluzione ordinaria, ritenendo quindi non legittima la pretesa di ottenere il doppio della caparra, la stessa avrebbe dovuto, comunque, disporre la restituzione della caparra versata, trattandosi del riconoscimento di un bene della vita omogeneo rispetto a quanto ab initio richiesto, “essendo peraltro pacifico che non sussista più alcun diritto della controparte a trattenerla”.
Va considerato – si legge nell’ordinanza n. 11012 dell’8 maggio 2018 - che la restituzione della caparra costituisce un effetto inevitabile della risoluzione, comunque motivata, del contratto, essendo venute meno le finalità alle quali assolveva.
La pronuncia di restituzione, nella specie, costituiva un minus rispetto alla domanda dell’attore: questi nonostante avesse chiesto la risoluzione del contratto, aveva indebitamente richiesto la restituzione del doppio, significando in ogni caso che non sussisteva più alcun titolo per la controparte per trattenere la caparra già versata.
Da qui il richiamo all’affermazione di legittimità secondo cui “non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto;
Di tal che, una volta “proposta azione di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia "ultra petita" il giudice che accerti la nullità del contratto e condanni il promittente venditore alla restituzione della caparra stessa, producendo, del resto, la risoluzione e la nullità effetti diversi quanto alle obbligazioni risarcitorie, ma identici quanto agli obblighi restitutori delle prestazioni”.
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