La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, quando intervenuta a seguito di mancata accettazione del trasferimento da parte del dipendente, va inclusa nel computo dei lavoratori licenziati nell'ambito di una procedura di riduzione del personale. Quindi, per l’applicazione della normativa sui licenziamenti collettivi rilevano non solo i licenziamenti in senso stretto, ma anche le cessazioni dei rapporti di lavoro per decisione del lavoratore, quando tale scelta sia conseguente a modifiche sostanziali del rapporto unilateralmente assunte dall’azienda.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15401 del 20 luglio 2020, superando un indirizzo contrario fatto proprio dalla stessa giurisprudenza di legittimità.
La Cassazione - nel ribaltare la statuizione della Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che secondo l'art. 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a) della Direttiva 98/59/CE (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione di “licenziamento” il fatto che un datore proceda, unilateralmente ed a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del dipendente, da cui consegua la cessazione del contratto, anche su richiesta dal prestatore medesimo.
Secondo i giudici di legittimità, in altre parole, la predetta fattispecie va estesa a tutte quelle ipotesi in cui la risoluzione, pur non derivando formalmente da un atto di licenziamento, sia riconducibile ad una riorganizzazione aziendale da cui sia derivata la cessazione del rapporto di lavoro.
Si ricorda, al riguardo, che i giudici hanno sino ad oggi escluso che nel novero dei predetti licenziamenti rientrassero anche le cessazioni dei rapporti di lavoro determinate da scelte del lavoratore, ciò anche nel caso in cui tali cessazioni intervenissero nell’ambito della procedura di riduzione del personale da cui conseguiva l’applicazione della normativa di cui alla L. n. 223/1991 e fossero, pertanto, riconducibili alla stessa.
Dunque, con la pronuncia in commento i giudici hanno affermato l’opposto e, uniformandosi a quanto in precedenza già statuito dalla Corte di Giustizia, hanno precisato che ai fini dell’applicazione della normativa sui licenziamenti collettivi rilevano anche le cessazioni del rapporto di lavoro formalmente volute dal lavoratore ma sostanzialmente integranti gli estremi di una reazione rispetto alla modifica disposta dal datore di lavoro al rapporto nei suoi elementi essenziali.
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