Non appare corretto affermate che la determinazione del danno biologico, risultante dalla causa risarcitoria per mobbing contro il datore di lavoro, possa restare ferma nella causa previdenziale, in difetto di ricorso per Cassazione. E ciò, sia perché l’Inail è terzo rispetto alla prima causa, sia perché, in ogni caso, la determinazione del danno biologico ai fini della tutela dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, non si effettua con i medesimi criteri valevoli in sede civilistica.
In sede previdenziale, infatti, vanno obbligatoriamente osservate le Tabelle delle invalidità di cui al Dm 12 luglio 2000 e successivi aggiornamenti ai sensi dell’art. 13 D.Lgs n. 38/2000, mentre ai fini civilistici si utilizzano baremes facoltativi elaborati dalla comunità scientifica.
Per cui, in particolare, ai sensi del menzionato articolo 13, le menomazioni conseguenti alle lesioni dell’integrità psicofisica sono valutati in base alla specifica “Tabella delle menomazioni”, comprensiva degli aspetti dinamico relazionale. Pertanto, l’indennizzo delle menomazioni di grado pari o superiore al 6 per cento ed inferiore al 16 per cento è erogato in capitale, dal 16 per cento in rendita, nella misura indicata nell'apposita “Tabella indennizzo danno biologico”.
In definitiva, la liquidazione degli indennizzi operata dall’Inail non segue i criteri ordinari civilistici, ma parametri, tabelle e regole proprie stabilite dal sistema assicurativo, per conseguire fini suoi propri in conformità dell’art. 38 Cost.
E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 8243 del 26 aprile 2016 , accogliendo il ricorso di un lavoratore, che si era visto dapprima respingere la domanda volta al riconoscimento di malattia professionale (mobbing), con condanna dell’Inail a corrispondergli le prestazioni di cui all'art. 13 D.Lgs 30/2000. Il giudizio contro l’Inail seguiva quello svolto contro l’ex datore di lavoro, conclusosi con la condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno biologico quantificato nella misura del 5%.
La Corte d’Appello aveva dapprima affermato – dunque erroneamente secondo gli ermellini – che non sussistessero i presupposti per l’accoglimento della domanda in relazione al quantum, posto che l’entità del danno biologico sarebbe rimasta fissata, anche nella causa previdenziale, nella misura del 5% (inferiore al minimo richiesto per la tutela Inail). Né il lavoratore aveva dedotto di aver impugnato la sentenza o di aver subito un aggravamento del danno biologico medesimo.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".