Secondo la Quinta sezione penale di Cassazione, per gli illeciti fatti oggetto di depenalizzazione, la seconda parte del comma 3° dell’articolo 9 del Decreto legislativo n. 8/2016 contiene una norma estranea al Decreto legge n. 7/2016.
La previsione in oggetto è quella che espressamente prevede: “Quando è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.
Non potrebbe prospettarsi, infatti – precisa la Cassazione - un’applicazione analogica della medesima disposizione ai casi di abrogazione di cui al richiamato Decreto n. 7/2016, ostandovi, in radice, l’eccezionalità che va riconosciuta alla norma, in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità a proposito dell’articolo 578 del Codice di procedura penale (Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione).
Del resto, non si rinverrebbe, nel raffronto tra le discipline dei due decreti sulla depenalizzazione, il presupposto della eadem ratio.
Per le ipotesi di cui al decreto 7/2016, in definitiva, la definizione dinanzi al giudice delle impugnazioni penali del giudizio sulle statuizioni civili impedirebbe l'esercizio dell'azione davanti al giudice competente sul risarcimento del danno.
E’ quanto si apprende dal testo della sentenza n. 15634 depositata il 14 aprile 2016 dalla Cassazione.
Si segnala che dette conclusioni appaiono in contrasto con l’interpretazione resa, solo pochi giorni prima, dalla Seconda sezione penale di Cassazione che, con sentenza n. 14529 depositata l’11 aprile 2016, ha ritenuto l’articolo 9, terzo comma citato, “di applicazione e portata generale” e, come tale, applicabile anche alle ipotesi di cui al Decreto legislativo n. 7/2016.
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