In tema di imposte sui redditi, le somme corrisposte per spese di viaggio effettivamente sostenute ai fini dello svolgimento di attività in comune diverso dalla residenza sono percepite a titolo di rimborso spese, sicché hanno funzione restitutoria e di ripristino del patrimonio del prestatore d'opera e non sono assimilabili alla retribuzione, né assoggettabili ad imposta.
Difatti, la loro quantificazione è determinata non con criterio forfettario, vale a dire "sganciata dall'effettivo esborso sostenuto dal prestatore d'opera", ma con specifica parametrazione al chilometraggio percorso ed al costo del carburante rilevato.
E' questo il principio di diritto richiamato dalla Corte di cassazione nel testo dell'ordinanza n. 23634 del 28 luglio 2022, pronunciata a conferma della decisione con cui la CTR aveva ritenuto illegittimo il diniego di rimborso espresso dall’Ufficio finanziario, in forma tacita, a fronte di un’istanza di restituzione della ritenuta operata dall’ASL sulle spese di viaggio rimborsate ogni mese unitamente allo stipendio di un contribuente, un medico specialista.
La Suprema corte, in particolare, ha giudicato infondato il motivo con cui l'Agenzia delle Entrate aveva censurato la sentenza di merito per violazione e falsa applicazione di legge.
Per gli Ermellini, era corretta la valutazione operata dalla CTR, dopo aver accertato in fatto che il rimborso de quo non era determinato con “criterio forfettario", ma era parametrato al chilometraggio percorso e al costo del carburante.
Lo stesso aveva funzione essenzialmente risarcitoria, in quanto diretto a ristorare il contribuente di spese vive da questi anticipate e analiticamente dettagliate e non andava, dunque, tassato.
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