Le aziende devono sempre dare riscontro, e motivarlo, alla richiesta di accesso ai dati formulata dai propri dipendenti nell’esercizio dei diritti previsti dalla normativa privacy.
E’ quanto stabilito dal Garante per la privacy che, con due distinti provvedimenti del 16 novembre 2023 resi noti sul sito istituzionale il 15 dicembre 2023, ha sanzionato due grosse società per non aver dato tempestivo e motivato riscontro alle richieste di accesso ai propri dati personali presentate da alcuni dipendenti ed ex dipendenti.
Si tratta di due provvedimenti che portano a riflettere sull’importanza di questo diritto degli interessati: vediamo nel dettaglio.
Il diritto di accesso, già previsto dalla normativa precedente all’art. 7 del Codice Privacy, è disciplinato dall’art. 15 del GDPR come una delle principali estrinsecazioni del principio di trasparenza con riferimento ai trattamenti che il titolare pone in essere con riguardo ai dati degli interessati, compresi quelli dei propri dipendenti.
Il Regolamento consente all’interessato di ottenere, tra le altre cose, dal Titolare del trattamento copia dei propri dati gratuitamente, purché ciò non leda i diritti e le libertà altrui.
Il soggetto destinatario della domanda di accesso è quindi obbligato a rispondere alla richiesta dell’interessato entro un mese, con possibilità di proroga di altri due mesi in ipotesi di particolare complessità delle richieste.
Nell’ambito dei rapporti di lavoro il diritto di accesso del dipendente ai dati conservati dal datore di lavoro costituisce uno strumento molto incisivo per ottenere copia di tutti quei documenti che possono servire al lavoratore per difendere i propri diritti in giudizio.
Entrambi i provvedimenti del Garante della privacy, numero 529 e 530 del 16 novembre 2023, hanno origine dal mancato riscontro alla richiesta di dipendenti o ex dipendenti di aver accesso ai propri fascicoli personali, alle buste paga e a una serie di informazioni relative al trattamento dei dati per il calcolo delle buste paga.
Nel primo caso (sanzionato con provvedimento n. 529), alla richiesta di chiarimenti del Garante la società aveva risposto di non aver dato riscontro per non compromettere il proprio diritto di difesa in giudizio, posto che tra la società e i lavoratori erano in corso diversi procedimenti giudiziari aventi ad oggetto l’accantonamento e le modalità di calcolo del Tfr.
Inoltre, la società affermava che i dipendenti avrebbero potuto conoscere i propri dati retributivi accedendo alla piattaforma informatica dedicata.
Secondo il Garante, invece, la società avrebbe dovuto comunque rispondere alle istanze dei dipendenti e motivare il diniego rendendo loro nota la possibilità di presentare reclamo al Garante o ricorso all’autorità giudiziaria.
La società, inoltre, avrebbe dovuto fornire riscontro anche riguardo ai dati disponibili nella piattaforma informatica.
Il Garante, pertanto, ha ingiunto di fornire completo riscontro alle istanze dei lavoratori e ha comminato alla società una sanzione di centomila euro.
Nel secondo provvedimento, numero 530, l’Autorità è intervenuta a seguito del reclamo di un ex dipendente che aveva lamentato il mancato riscontro della società alla richiesta di ottenere copia dei documenti riferiti al proprio rapporto di lavoro.
La società aveva risposto di non aver dato riscontro all’istanza perché redatta in maniera molto ampia e generica e aveva in seguito inviato copia dei documenti solo dopo l’avvio dell’istruttoria del Garante, quasi sei mesi dopo il termine dei trenta giorni previsto dal GDPR.
In tal caso il Garante, ricordando che la società avrebbe dovuto rispondere tempestivamente all’istanza dell’ex dipendente eventualmente chiedendo di dettagliare i dati ai quali voleva accedere, ha irrogato una sanzione di quarantamila euro.
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