Può essere annullato il sequestro disposto a carico di un professionista sospettato di attività illecite, anche qualora parte delle sue risorse economiche derivino da ricavi in nero.
In altre parole, la presunzione di illegittima provenienza di risorse patrimoniali ai sensi dell’art. 12 quinquies D.l. n. 306/1992, deve essere esclusa anche quando queste ultime provengono da attività economiche lecite, ma non denunciate al fisco. E ciò in considerazione del dato letterale della disposizione di cui sopra, che attribuisce idoneità a giustificare la provenienza dei beni, in alternativa, tanto al reddito dichiarato ai fini delle imposte, quanto all'attività economica svolta.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, accogliendo il ricorso di un professionista indagato, cui era stato disposto il sequestro preventivo di alcuni valori mobiliari ed immobiliari, stante la sussistenza di gravi indizi colpevolezza a suo carico, in ordine ad un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di molteplici reati, tra cui corruzione, falso materiale e falso ideologico, sostituzione di persona ecc.
Orbene, nel caso de quo, l’ordinanza di sequestro – spiega la Corte Suprema – ha omesso di valutare tutte le indicate risultanze, in quanto, erroneamente, non ha preso in considerazione i redditi derivanti da attività di consulenza svolta dal professionista, solo perché non denunciati al fisco; così contravvenendo all'orientamento sopra spiegato.
Si impone dunque – conclude la sesta sezione penale con sentenza n. 7464 del 16 febbraio 2017 – l’annullamento del provvedimento impugnato, onde procedere ad una nuova individuazione dei beni da sottoporre al vincolo.
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