La figura del commercialista si inserisce nell'ambito delle cosiddette professioni intellettuali, e si caratterizza in particolare per la specifica competenza tecnica ad essa attribuita.Nell’ambito delle stesse professioni intellettuali si individuano le cosiddette professioni regolamentate di cui fa parte il dottore commercialista.Queste sono determinate dalla legge e l’esercizio delle stesse è subordinato in base a quanto disposto dall’art.2229 del codice civile, all’iscrizione in appositi albi o elenchi la cui tenuta è demandata agli ordini e collegi professionali.
La subordinazione dell’esercizio di tali professioni al controllo da parte dei menzionati ordini o collegi,è garanzia del regolare e buon esercizio della professione, e costituisce un elemento di interesse pubblico. L’esercizio abusivo della professione comporta infatti una responsabilità verso il cliente che implica la nullità assoluta del rapporto tra professionista e lo stesso cliente privando il contratto di ogni effetto.
In linea generale si riconosce alla categoria dei commercialisti una competenza tecnica specialistica nelle materie commerciali, economiche, finanziarie, tributarie e ragionieristiche. L’oggetto della professione di dottore commercialista viene individuato dall’art. 1, n. 1, e 2 (competenze comuni a tutti gli iscritti all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili) e n. 3 (competenze riconosciute solo agli iscritti alla sezione A Commercialisti dell'albo), del D.lgs. 28 giugno 2005, n. 139, e dal n. 4 (competenze riconosciute agli iscritti alla sezione B Esperti contabili dell'albo) relativamente alla competenza degli esperti contabili in precedenza denominati ragionieri. L’attività professionale del commercialista si caratterizza per la varietà, molteplicità e complessità degli incarichi e delle funzioni svolte e a tale peculiarità si riconduce la diversità dei possibili profili di responsabilità applicabili. La fattispecie più comune di responsabilità è la responsabilità civile, si tratta di una responsabilità “generica”, in quanto relativa a tutti i prestatori d’opera intellettuale.
La responsabilità civile del commercialista può derivare dallo svolgimento dell’attività professionale tipica e dunque:
La responsabilità può configurarsi anche quando lo stesso agisca al di fuori di quelle che sono le caratteristiche tipiche della sua attività professionale, ed in particolare quando agisce:
Il tipo di responsabilità civile “più comune” del commercialista, e che si potrebbe definire “generica” in quanto relativa a tutti i prestatori d’opera intellettuale, è quella connessa all’esercizio di una professione intellettuale (art. 2236 del c.c.).
Le professioni intellettuali sono disciplinate in maniera omogenea dal codice civile, ma nella pratica sono molto diverse, basti considerare ad esempio le specializzazioni professionali in campo sanitario, le professioni di avvocato, notaio, lo stesso commercialista, nonché gli ingegneri e gli architetti. E' evidente che vi sono professioni che possono avere caratteristiche più vicine al contratto d’opera e professioni che se ne discostano in maniera decisa.
Il Codice Civile dedica il Capo II del Libro V, Titolo III alla disciplina delle “professioni intellettuali” e del “contratto di prestazione d’opera intellettuale”. Partendo dalla disposizione generale di cui all’art. 2222 c.c., è possibile individuare gli aspetti essenziali che qualificano il contratto d’opera intellettuale come quel contratto in forza del quale, un soggetto (il professionista), assume l’obbligo, nei confronti di un altro soggetto (il cliente), di eseguire dietro onorario o compenso pattuito, o anche stabilito dalle tariffe professionali, una prestazione intellettuale, che consiste in un risultato obiettivo, in un comportamento tecnico o in un servizio.
Alla professione intellettuale disciplinata dal Capo II, possono ricondursi quelle attività di carattere intellettuale il cui elemento qualificante consiste nell’apporto offerto dall’intelligenza e dalla cultura del professionista, e che al contempo presentano alcuni ulteriori elementi distintivi come:
Secondo una tradizionale distinzione, le obbligazioni derivanti da un contratto ivi comprese quelle derivanti dai contratti di prestazione d’opera intellettuale, si possono classificare in due categorie:
Tale distinzione comporta rilevanti conseguenze per la disciplina applicabile in tema di responsabilità, poiché si collega una diversa ripartizione dell’onere della prova in caso di inadempimento. Soltanto per le obbligazioni di risultato troverebbe applicazione la regola di responsabilità per inadempimento di cui all’art. 1218 c.c., a norma della quale:
Per le obbligazioni di mezzi invece, varrebbe il criterio della diligenza di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c., per cui l’onere della prova della colpa del debitore, ricadrebbe sul cliente danneggiato, tenuto a provare l’inadempimento del professionista.
In definitiva, nelle obbligazioni di risultato il debitore, per liberarsi dalla responsabilità per inadempimento nei confronti della controparte, deve dimostrare che la mancata o non conforme esecuzione della prestazione è dipesa da circostanze esterne che hanno reso del tutto impossibile l’adempimento, mentre nelle obbligazioni di mezzi il debitore è libero da responsabilità se esegue la propria obbligazione con idonea diligenza, anche se il creditore non ottiene l’esito atteso.
La responsabilità del professionista trova la sua prima fonte nel contratto, ed è con l'accettazione dell'incarico che sorge tra il professionista e il cliente quel vincolo contrattuale da cui deriva per il professionista l'obbligo della prestazione professionale.
La responsabilità contrattuale del professionista nasce a seguito del suo inadempimento agli obblighi connessi all’attività esercitata, ovvero con la mancata, ritardata o inesatta esecuzione della prestazione professionale richiesta.
Per pervenire ad una possibile responsabilità, bisogna partire dal mancato raggiungimento di un risultato che tuttavia, secondo la dottrina, va valutato alla stregua del dovere di diligenza, che prescinde da quella generale del buon padre di famiglia e si adegua all’attività esercitata.
Osserva - La giurisprudenza della Suprema Corte con più sentenze dello stesso tenore, ha stabilito che “l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata....”.
Ad esempio considerato un dottore commercialista che ha avuto l’incarico di provvedere alla stesura di un piano pluriennale che il cliente deve presentare per ottenere un finanziamento presso un istituto di credito,se il finanziamento in questione non viene concesso, il professionista non potrà essere considerato responsabile qualora il piano sia stato correttamente eseguito sulle informazioni ricevute dal cliente. Del resto con riferimento alle prestazioni professionali più facilmente inquadrabili come obbligazioni di mezzo, il comportamento negligente del dottore commercialista può perfezionare di per sé un presupposto di inadempimento, indipendentemente dalla mancanza di risultato e prima che essa si manifesti.
Solo con il ricorso a standard generali come ad esempio la diligenza, si riuscirà ad individuare la linea di condotta del professionista e a determinare i presupposti in presenza dei quali si può configurare l’adempimento dell’obbligazione intellettuale.
In generale si può affermare che la responsabilità del professionista “intellettuale” ruota essenzialmente sul rapporto fra la disposizione dell’art. 1176 c.c. e quella di cui all’art. 2236 c.c.
Il commercialista ad esempio deve considerarsi responsabile verso il suo cliente in caso d’incuria o mancata conoscenza di disposizioni di legge, e in genere nei casi in cui per negligenza od imperizia, comprometta la soddisfacente conclusione del rapporto professionale, nel caso invece, d’interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, dovrebbe ritenersi esclusa la sua responsabilità nei confronti del cliente, a meno di dolo o colpa grave. L’inadempimento va valutato a seconda della natura dell’attività esercitata, considerando il tipo dell’incarico, come pure le circostanze in cui la prestazione venga effettuata.
Se la prestazione d’opera implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave (art. 2236 c.c.)”. Per la responsabilità professionale del prestatore d’opera intellettuale, la legge prevede un’attenuazione della normale responsabilità in caso di problemi particolarmente complessi. Il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave mentre, al di fuori di questa ipotesi, questi risponde secondo le regole comuni anche per colpa lieve.
I problemi con “speciale difficoltà” si riferiscono a quei casi che esulano dal sapere ordinario, per la loro singolarità ed infrequenza nonché per la novità della loro emersione. E' importante sottolineare che la norma in esame non intende attenuare la responsabilità professionale nei casi tecnicamente più difficili, ma piuttosto vuole spronare l’iniziativa individuale giustificando appunto, un giudizio di responsabilità più pragmatico, laddove sussistano particolarissime difficoltà operative ovvero in casi di incertezze scientifiche rispetto alla problematica da risolvere.
Solo in tale modo si può comprendere il senso di una limitazione della responsabilità professionale ai casi di dolo o colpa grave, ove al professionista sia richiesto di risolvere appunto, un caso particolarmente difficile.
Dal lato della giurisprudenza questa è ormai univoca nel confermare che la limitazione della responsabilità professionale ai soli casi di dolo o colpa grave a norma dell’art. 2236 c.c. attiene esclusivamente alla perizia richiesta al professionista, e non è applicabile quindi al caso di negligenza e imprudenza, per i quali il professionista risponde anche per colpa lieve.
Per fondare la propria azione di risarcimento, il cliente dovrà principalmente fornire la dimostrazione, senza limitazioni circa i mezzi di prova ammessi, circa gli elementi essenziali che fondano la responsabilità del professionista. Egli dovrà quindi dimostrare di aver dato l’incarico al professionista e che quest’ultimo si è reso inadempiente all’obbligazione professionale così assunta, dovrà inoltre provare di aver subito un danno, dimostrando la sussistenza del nesso causale fra l’inadempimento ed il conseguente danno. Il professionista per sottrarsi all’invocata responsabilità, dovrà dimostrare di aver agito secondo diligenza ovvero che la colpa a lui imputabile deve considerarsi lieve in presenza di un problema tecnico di “speciale difficoltà”.
Relativamente al concetto di colpa, esso si esplicita secondo le elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza più consolidate, nelle ipotesi di:
La negligenza nella dottrina è considerata come una dimenticanza, o svogliatezza e con riferimento alla figura del commercialista ad esempio, può essere richiamato il caso in cui il professionista si dimentichi di inviare la dichiarazione dei redditi entro il termine di presentazione telematica. In tale ipotesi il commercialista verrà condannato a risarcire il cliente dei danni subiti in conseguenza a conseguenza a tale omissione.
La responsabilità del professionista per imprudenza, si manifesta nelle ipotesi in cui questi potendo scegliere tra diverse soluzioni, opta per quella che presenti il maggior numero di probabilità di insuccesso. Raffigura quindi il limite oltre il quale non si può spingere la discrezionalità tecnica del professionista, che deve assumere un contegno tecnico consono alla situazione nella quale si trova ad esercitare, tenendo sempre e comunque in debita considerazione la tutela degli interessi del cliente. Per la valutazione del parametro in questione, sarà quindi necessario operare un raffronto tra gli strumenti tecnici impiegati per la soluzione del singolo caso e quelli che sono i mezzi che la tecnica mette a disposizione.
In relazione alla valutazione della colpa professionale, particolare rilevanza è attribuita dalla giurisprudenza al concetto di perizia (e correlativamente di imperizia), da intendersi come complesso di regole tecniche e professionali espresse dal livello medio della categoria d’appartenenza. L’attività intellettuale oggetto della prestazione del professionista deve essere tecnicamente impeccabile, basata sugli strumenti messi a disposizione dalla scienza e sul patrimonio tecnico, scientifico e morale del singolo prestatore, costituito soprattutto dal complesso delle sue cognizioni acquisite attraverso lo studio e l’esperienza. Il professionista dovrà mantenersi costantemente dotato di una normale perizia, ovvero di un livello di conoscenza che lo ponga nelle condizioni di soddisfare l’aspettativa del cliente a ricevere una prestazione idonea. La valorizzazione di tale concetto risulta così determinante anche al fine del riconoscimento di un dovere di aggiornamento costante del professionista.
L’errore professionale
L'errore professionale si riscontra quando la condotta adottata dal professionista non è idonea a risolvere il caso, anche se questi abbia agito diligentemente. La fattispecie ricorre in tutte quelle ipotesi in cui il comportamento tenuto dal professionista per la soluzione del problema sottoposto al suo operato si riveli insufficiente, inadatto o perfino controproducente in relazione all’oggetto del contratto. L’errore professionale viene preso in considerazione come elemento oggettivo, ossia quale comportamento del professionista non conforme alle regole dell’arte, alle recenti cognizioni scientifiche ed alla comune esperienza, e non come elemento soggettivo. Con tale locuzione si evidenzia infatti un comportamento che pur risultando obiettivamente diverso da quanto esigeva la situazione concreta, non è necessariamente colposo. Anche la giurisprudenza considera tale comportamento inidoneo ad integrare di per sé la colpa del professionista, e pone in evidenzia la differenza tra errore inescusabile ed errore scusabile. In particolare l’errore inescusabile, ricompreso nel concetto di colpa professionale, è quell’errore che poteva essere evitato usando la diligenza richiesta. Quindi l’errore professionale viene a configurarsi come una vera e propria ipotesi esonerante da responsabilità, se esso si presenti come errore scusabile, ossia inevitabile secondo l’uso della diligenza richiesta.
Il professionista può avvalersi di persone che lo sostituiscano o che collaborino con lui nell’esecuzione dell’incarico assunto. L’art. 2232 c.c., dopo aver individuato il carattere prettamente personale della prestazione svolta dal professionista, prevede infatti che questi possa ricorrere sotto la propria direzione e responsabilità, all’attività di sostituti ed ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione. In questo caso è da escludere che i terzi ausiliari abbiano un rapporto contrattuale diretto con il cliente, il quale pertanto non può avere un’azione diretta contro i collabori per l’adempimento, così come questi ultimi non possono agire nei suoi confronti per il compenso.
Qualora l’utilizzazione di collaboratori avvenga in mancanza di una precisa convenzione con il cliente, oppure senza che gli usi lo consentano, il professionista risponderà a causa del proprio inadempimento contrattuale, degli eventuali danni causati dal sostituto o ausiliare, prescindendo dall’indagine circa la colpa o il dolo di questi. Laddove invece l’uso dell’opera di sostituti e ausiliari si compia nel rispetto dei limiti previsti dal sopracitato articolo, il professionista sarà oggettivamente responsabile, prescindendo dalla valutazione della sua colpa, dei danni subiti dal cliente per l’attività compiuta dal collaboratore. Non si esclude tuttavia che nei rapporti interni, il collaboratore possa essere chiamato a rispondere nei confronti del professionista, dei danni da questo subiti e ricollegati alla sua condotta colposa osservata nell’esecuzione dell’incarico affidatogli.
In tema di colpa professionale, alla responsabilità contrattuale si può aggiungere una ulteriore responsabilità extra-contrattuale o aquiliana. In particolare sussiste un illecito extracontrattuale in presenza di violazioni di un diritto o di una situazione giuridica tutelata in modo assoluto (erga omnes), mentre la responsabilità contrattuale (da inadempimento) sorge a seguito della violazione di un diritto relativo, per quanto non necessariamente derivante da un contratto, essendo sufficiente l’esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio, a prescindere dalla fonte dell’obbligo violato (atto illecito, contratto, atto unilaterale, o altro).
Per responsabilità extra-contrattuale si intende quindi quella specie di responsabilità civile in forza della quale l’ordinamento reagisce alla lesione della sfera giuridica di un soggetto, a prescindere dalla sussistenza di un pregresso vincolo di natura obbligatoria tra il danneggiante ed il soggetto leso.
Essa si fonda sulla previsione di cui all’art. 2043 c.c., in forza del quale:
La responsabilità extracontrattuale del professionista nei confronti del cliente si verifica quando l’inadempimento del professionista leda allo stesso tempo una situazione soggettiva giuridicamente rilevante in sede aquiliana. In tal caso sembra prospettarsi un concorso tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, conseguente ad un unico comportamento risalente allo stesso soggetto ed ad un unico avvenimento dannoso che sia lesivo, sia dei diritti derivanti dall’altro contraente dalle clausole del contratto, sia dei diritti a lui attribuiti a prescindere dal contratto. Questa convergenza tra i due differenti tipi di responsabilità sembra garantire al creditore-cliente una più ampia protezione e pone il problema di stabilire se sia effettivamente possibile configurare ipotesi di cumulo.
Con specifico riguardo alla figura del commercialista, l’attività di consulenza pare tutto sommato poco idonea a produrre danni extra-contrattuali, sicché tale tipologia di responsabilità sembra poter essere relegata in un ambito sostanzialmente marginale, fattispecie tipiche sono i danni riconducibili alla conduzione dello studio e alla gestione dei dipendenti. Merita infine ricordare che quanto sopra vale anche per gli ausiliari (collaboratori, praticanti, sostituti, ecc.) di cui il professionista si avvalga “sotto la propria direzione e responsabilità” (art. 2232 c.c.), a propria volta astrattamente articolabile nelle fattispecie della colpa in eligendo, in educando ed in vigilando.
Oltre ai profili di responsabilità che attengono a ciascun professionista in relazione al fatto di esercitare una attività di prestazione d'opera, vi sono ulteriori tipologie di responsabilità (previste da specifiche leggi), applicabili alla categoria dei Dottori Commercialisti in quanto ad esempio, fondate sull’esercizio di attività di consulenza ed assistenza in materia tributaria. Accanto alla disciplina civilistica si deve tenere conto anche della normativa tributaria, che determina l’attribuzione di sanzioni amministrative a carico diretto del professionista qualora si riscontrino violazioni di disposizioni di carattere fiscale.
In base agli artt. 35 e 36 del D.lgs. n. 241/1997 (e conseguenti provvedimenti di attuazione) è riconosciuta a particolari categorie di soggetti la possibilità di rilasciare in favore dei contribuenti, tre fattispecie di certificazioni ai fini fiscali e nello specifico:
Queste certificazioni attestano il regolare adempimento degli obblighi tributari da parte del contribuente, e aumentando le certificazioni aumentano le responsabilità specifiche del professionista certificatore, anche perché in conseguenza aumentano le tutele del contribuente rispetto a possibili iniziative da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Rispetto al profilo sanzionatorio, recato dall’art. 39 del citato d.lgs. n. 241/1997:
Resta inoltre ferma la possibilità di irrogazione delle specifiche sanzioni per la violazione di norme tributarie.
L’art. 7-bis del D.lgs. n. 241/1997 prevede una specifica sanzione per le violazioni delle norme relative alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali. Il professionista che abbia ricevuto da un contribuente l’incarico di eseguire la trasmissione telematica di una dichiarazione e che non vi provveda entro i termini previsti dalla legge (rendendosi così responsabile della violazione di omessa o tardiva trasmissione) è soggetto ad una sanzione amministrativa da euro 516,46 ad euro 5.164,57. Inoltre in caso di gravi e ripetute violazioni, l’Amministrazione finanziaria può disporre la revoca dell’abilitazione al servizio telematico.
La responsabilità dei sindaci delle S.p.A. è disciplinata dall’art. 2407 c.c., i componenti del collegio devono agire “con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico”, il parametro di valutazione della diligenza richiesta è costituito dal comma 2, e dell’art. 1176 c.c. Non risulta sufficiente attenersi al generico canone del “buon padre di famiglia”. Inoltre, i sindaci sono resi responsabili della violazione dei propri doveri non solo nei confronti della società, ma anche dei creditori, dei singoli soci e dei terzi.
I sindaci rispondono della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti, le notizie ed i documenti di cui hanno conoscenza in ragione della loro attività di controllo. Inoltre rispondono in solido con gli amministratori, per i fatti o le omissioni di questi ultimi, quando il danno non si sarebbe cagionato se essi avessero vigilato in conformità ai propri doveri.
L’incarico di curatore fallimentare può essere attribuito agli iscritti negli albi dei ragionieri o dottori commercialisti e degli avvocati. Solo eccezionalmente esso può essere assegnato a persone non iscritte in tali albi.Le funzioni attribuite al curatore risultano ampie, e vanno dall’amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato, all’assegnazione del potere/dovere di procedere ad una serie di adempimenti oggetto di specifica disciplina. Il curatore risponde degli atti compiuti nell’esercizio del proprio incarico, in particolare deve adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio (art. 38, legge fall.). L’orientamento prevalente sottolinea che il curatore è responsabile del compimento degli atti di gestione posti in essere in quanto soggetto dotato di un potere di libera determinazione, il curatore resta responsabile delle conseguenze degli atti compiuti anche se per gli stessi consta l’autorizzazione del giudice. La responsabilità del curatore sarebbe di regola contrattuale, ma si propende per la qualificazione extracontrattuale nei casi in cui sussistano interessi in conflitto tra i diversi soggetti (fallito, creditori ecc.) nel qual caso non si può ritenere sussistente una obbligazione contrattuale in quanto manca un interesse comune cui commisurare il suo adempimento.
Coloro che esercitano una professione regolamentata hanno l’obbligo di stipulare una polizza professionale di assicurazione per i danni derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. L’obbligo è previsto dall’ art. 5 del D.P.R. n. 137 del 7 agosto 2012 che ha attuato l’art 3, comma 5 lett. e) del D.L. 13 agosto 2011 n. 138.
A tutela del cliente il professionista è tenuto a stipulare una idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. Il contratto di assicurazione copre le responsabilità in caso di inadempienza, negligenza, imprudenza o imperizia ascrivibile al commercialista, mentre non copre di per sé anche l’attività prestata dall’assicurato che non rientri nell’ambito delle funzioni tipiche della categoria libero professionale di cui l’assicurato fa parte. Relativamente alla polizza:
Quadro Normativo |
Decreto Legislativo n. 139 del 28 giugno 2005 Decreto Legislativo n. 231 dell' 8 giugno 2001 Decreto Legislativo n. 56 del 20 febbraio 2004 Decreto Legislativo n. 267 del 18 agosto 2000 Decreto Legislativo n.472 del 18 dicembre 1997 Decreto Legislativo n. 231 del 8 giugno 2001 Decreto Legge n. 143 del 3 maggio 1991 Decreto Legge n. 138 del 13 agosto 2011 Decreto Legislativo n. 241 del 9 luglio 1997 Decreto Legislativo n. 472 del 18 dicembre 1997 D.P.R. n. 322 del 22 luglio 1998 Art.1128 c.c., art.1176 c.c., art. 2043 c.c., art. 2222 c.c., art.2229 art. 2236 c.c., art. 2407 c.c. |
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".