In giudizio, è utilizzabile come prova la registrazione di una conversazione tra l’imputato condannato di reato ed altro soggetto testimone del fatto, anche se il primo registra all'insaputa del secondo e senza previa autorizzazione dell’Autorità giudiziaria.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, respingendo la tesi del ricorrente, secondo cui la registrazione in questione doveva qualificarsi come atto di indagine difensiva, tale da giustificare il parallelismo con la disciplina sulle intercettazioni di colloqui tra presenti, da effettuare dietro richiesta della Polizia Giudiziaria.
Ma secondo la Cassazione, la registrazione in esame è stata correttamente acquisita come documento nell'ambito procedimento penale e come tale, valutata dai Giudici di merito, non risultando necessaria alcuna previa autorizzazione dell’Autorità giudiziaria alla registrazione del colloquio tra presenti da parte di uno dei partecipi, pur all'insaputa dell’altro.
A nulla rileva, in proposito, la finalità dell’imputato di acquisire una prova da utilizzare in giudizio, essendo per l’appunto la registrazione un mezzo di supporto obiettivo alle proprie affermazioni, per confutare la diversa ricostruzione offerta dal colloquiante reticente.
Né tale conclusione – conclude la Corte con sentenza n. 15627 del 14 aprile 2016 – rimane inficiata se la registrazione avviene su esclusiva iniziativa del partecipe, ovvero (come nel caso de quo) a seguito di consiglio del proprio legale, poiché, comunque, sempre si registra per poter supportare la propria dichiarazione a fronte delle affermazioni difformi dell’altro partecipe al colloquio.
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