Secondo la Corte di cassazione, la nuova formulazione della fattispecie dell’abuso di ufficio - introdotta dall’articolo 23 del Dl n. 76/2020 con restrizione dell’ambito di operatività con riguardo al diverso atteggiarsi delle modalità della condotta - determina una parziale abolitio criminis.
Questo, in relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della riforma, che non siano più riconducibili alla nuova versione dell’articolo 323 del Codice penale, in quanto realizzati mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità.
In conseguenza, quindi, dell’abolizione del reato, ai sensi dell’articolo 2, secondo comma C.p., ne discende, nei processi in corso, il proscioglimento dell’imputato, con la formula “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”.
E’ l’assunto sulla cui base la Suprema corte, nel testo della sentenza n. 442 dell’8 gennaio 2021, ha annullato una decisione di condanna emessa dal Tribunale nei confronti di un imputato a cui era stato contestato, nella sua veste di Commissario straordinario e Direttore generale di un’azienda ospedaliera, di avere illegittimamente dequalificato il Servizio di Prevenzione e Protezione della struttura complessa a struttura semplice, così demansionando la posizione giuridica ed economica del suo Direttore.
Gli Ermellini hanno sottolineato come la nuova disposizione normativa abbia un ambito applicativo più ristretto a quello definito con la previgente definizione della modalità della condotta punibile, con sottrazione al giudice penale dell’apprezzamento dell’inosservanza di principi generali o di fonti normative di tipo regolamentare o subprimario e del sindacato del mero “cattivo uso” della discrezionalità amministrativa.
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