Con sentenza n. 24933 del 9 giugno 2023, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso di un imputato, condannato per i reati tributari di omessa dichiarazione e occultamento o distruzione di documenti contabili.
Lo stesso si era rivolto alla Suprema corte per impugnare la decisione con cui la Corte d'appello, nel confermare la condanna, aveva anche disposto la confisca di denaro o, per equivalente, di beni del medesimo, ai sensi dell'art. 12-bis D. Lgs. n. 74/2000.
Alla base del ricorso, la denunciata violazione del divieto di reformatio in peius, atteso che la misura di sicurezza in parola era stata disposta, per la prima volta, dalla Corte di gravame, in assenza di appello proposto dal Pubblico ministero.
Il Collegio di legittimità ha giudicato fondato tale motivo: i giudici di secondo grado avevano violato il divieto di reformatio in peius di cui all'art. 597, comma 3, c.p.p., vale a dire il divieto di modificare in senso sfavorevole all'imputato.
Ai sensi della richiamata disposizione, infatti, quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, "salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado".
Sul punto, quindi, gli Ermellini hanno ribadito il principio per cui, in tema di impugnazioni, il giudice di appello, in mancanza di gravame del pubblico ministero, non può disporre la confisca ex art. 12-bis, D. Lgs. n. 74/2000, non ordinata dal giudice di primo grado, ostandovi, appunto, il divieto di reformatio in peius.
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