Quando si chiude un cantiere è più facile licenziare
Pubblicato il 02 aprile 2015
Bruno aveva solo 16 anni quando capì che cosa significasse fare
il muratore. Lo zio aveva una piccola impresa edile e Bruno già da un
paio di anni frequentava un istituto scolastico a corrente alternata;
sfogliare qualche quotidiano sportivo due/tre volte alla settimana era
l’unico impegno intellettuale del ragazzo.
Ben presto Bruno scoprì che la fatica fisica e la dura
vita di cantiere fanno rimpiangere il tempo in cui si è deciso di non
studiare. “Tornassi indietro, mi piacerebbe diventare geometra”: questa
frase veniva pronunciata spesso, con ancora maggior frequenza nelle
giornate di freddo, quelle che ti gonfiano e induriscono le mani.
Quando l’anziano zio decise di chiudere l’impresa, Bruno
non se la sentì di mettersi in proprio, non aveva la struttura mentale
per ambire a un salto del genere e i tempi ormai non erano gli stessi di
quelli in cui aveva cominciato il suo parente. Cambiò un paio di
imprese e alla fine cominciò a lavorare per una grande azienda.
Giunto al suo 52° compleanno, Bruno riceve la
raccomandata contenente la lettera di licenziamento. “Era nell’aria –
borbotta mestamente all’amico sindacalista – il lavoro di costruzione
della superstrada è terminato e ci hanno detto che siamo in troppi. Ma
se mi cacciano via ora, chi mi riprende? Perché hanno scelto proprio me?
Mi sono sempre dato da fare, ho tanta esperienza…”.
“Semplice – risponde, all’apparenza con scarsa
partecipazione, il sindacalista – perché il datore di lavoro può
scegliere a suo piacimento. Il tuo settore lavorativo è particolare: in
Edilizia non si è costretti a rispettare le procedure previste dalla
disciplina sui licenziamenti collettivi
(L. n. 223/91). Quando i lavori terminano
(Corte di Cassazione, sentenza n. 4349 del 04/03/2015),
se il datore di lavoro dimostra di non poter utilizzare i lavoratori in
altre mansioni compatibili e il lavoratore non indica altri posti in
cui può essere occupato, quest’ultimo può essere licenziato”.
Bruno già barcolla, ma il colpo di grazia arriva di lì a breve;
spetta all’amico sindacalista pronunciare la sentenza di condanna: “Se
anche riuscissimo a dimostrare qualcosa, sappi fin d’ora che non sarai
reintegrato nel posto di lavoro e che l’eventuale illegittimità del
licenziamento ti porterà solo un indennizzo economico”
(art. 10 D.lgs. n. 23/15).