La Corte di cassazione ha accolto, con rinvio, il ricorso promosso da una Spa contro il rigetto della domanda risarcitoria dalla stessa avanzata nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, in relazione alla fattispecie della responsabilità civile dei magistrati.
La causa era stata azionata dopo che la società, a fronte della notifica di un decreto ingiuntivo dalla stessa opposto e per cui era stata dichiarata la provvisoria esecuzione, aveva provveduto al pagamento del credito indicato nel provvedimento monitorio.
All’esito del giudizio di opposizione, il decreto era stato revocato ma la società non aveva potuto recuperare quanto indebitamente pagato a causa del fallimento sia della società opposta, sia della società che, nella veste di garante, aveva rilasciato la cauzione a cui era stato condizionato il rilascio della provvisoria esecuzione.
La Spa aveva convenuto in giudizio la Presidenza del Consiglio, al fine di far valere la responsabilità dei due magistrati intervenuti nella procedura e, dunque, per chiedere il risarcimento del danno subito.
I giudici di merito, tuttavia, avevano rigettato la domanda risarcitoria: a loro giudizio, anche se la concessione della provvisoria esecuzione, da parte del giudice, era da qualificarsi come colposa, il comportamento scorretto del creditore ingiungente aveva integrato un contegno addirittura doloso, idoneo a interrompere il nesso causale tra la condotta del magistrato e l’evento dannoso.
Da qui il ricorso per cassazione della Spa. In questa sede, la difesa della ricorrente aveva censurato la sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso l’esistenza del nesso di causalità tra azione, evento e danno, disattendendo il principio desumibile dall’art. 41 del Codice penale, secondo cui l’interruzione della serie causale si verifica solo quando il fattore sopravvenuto, pur inserendosi in essa, dia origine ad un’altra serie causale eccezionale e atipica rispetto alla prima, idonea a produrre da sola l’evento dannoso.
Doglianza, questa, giudicata fondata dalla Terza sezione civile della Suprema corte, la quale, con sentenza n. 4662 del 22 febbraio 2021, ha confermato che la Corte territoriale aveva violato il richiamato art. 41 c.p.
Come chiarito dalle Sezioni Unite di cassazione, infatti, la ricostruzione della “problematica causale”, con riferimento alla “causalità materiale o di fatto”, presenta rilevanti analogie con quella penale, in quanto il danno rileva solo come evento lesivo.
Nella ricostruzione del nesso causale civile – viene altresì ricordato – è determinante il criterio della “preponderanza dell’evidenza” o del “più probabile che non”: in tale contesto, il giudice di merito, per stabilire se sussiste il nesso di causalità materiale, deve applicare il principio della “condicio sine qua non”, temperato da quello della regolarità causale.
Così, quando l’evento dannoso o pericoloso è stato cagionato da una pluralità di azioni od omissioni, coeve e succedutesi nel tempo, tutte hanno uguale valore causale, senza distinzione tra cause mediate ed immediate, dirette ed indirette, precedenti e successive.
Nell’accogliere il motivo del ricorso, la Cassazione ha ormulato apposito principio di diritto secondo cui: “in caso di comportamento colposo di un soggetto, idoneo a cagionare un danno, la condotta dolosa di un altro soggetto, che non si ponga come autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, non è idonea a interrompere il nesso causale con l’evento dannoso, ma potrà al più assumere rilievo solo sul piano della selezione delle conseguenze dannose risarcibili”.
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