Privacy: il datore di lavoro non può accedere all'hard disk del dipendente
Pubblicato il 14 agosto 2010
Dal punto di vista della privacy il datore di lavoro che apre una cartella di file nell'hard disk del dipendente tiene un comportamento contrario alle norme sul trattamento dei dati personali, fermo restando il diritto della società di verificare gli obblighi del lavoratore a svolgere la mansione assegnatagli.
Il caso, che ha dato origine al provvedimento del Garante della privacy del 10 giugno scorso, riguarda un lavoratore dipendente licenziato senza preavviso in quanto la società aveva effettuato una verifica sui file del Pc in uso al dipendente rilevando la presenza di una cartella denominata "travaso" contenente numerosi file con materiale pornografico.
Il dipendente presentava ricorso al Garante della privacy lamentando l'accesso illegittimo al proprio Pc senza la presenza della necessaria informativa sui controlli interni; in particolare il ricorrente rammenta che la normativa per l'utilizzo dei servizi informatici aziendali è stata inviata per e-mail dal direttore della società il giorno prima che avvenisse il controllo sul suo Pc e che tale normativa non conteneva misure per i controlli su file giacenti nel disco fisso.
Il garante ha accolto il ricorso sostenendo che la società ha ecceduto nella sua potestà di controllo, dovendo limitarsi a prendere atto dell'esistenza di una cartella che dalla denominazione, "travaso", risultava non conforme all'uso corretto degli strumenti affidati sul luogo di lavoro, bensì di natura personale, senza procedere all'apertura della stessa per conoscerne i contenuti.
Per quanto riguarda la valutazione della condotta del lavoratore contraria alla condotta da tenere sul luogo di lavoro, il garante dispone che la competenza spetta al giudice del lavoro.