Primo intervento critico della Fondazione studi sul Ddl di riforma del mercato del lavoro

Pubblicato il 10 aprile 2012 La Fondazione studi Consulenti del lavoro, con la circolare n. 6/2012 del 9 aprile, inizia il proprio esame tecnico/giuridico sul Ddl di riforma del mercato del lavoro.

Con questo documento di prassi, la Fondazione ha analizzato le prime criticità riguardanti le novità che interessano il contratto di lavoro a progetto e quello di lavoro autonomo. Già dai prossimi giorni è attesa, invece, una nuova circolare che si occuperà prevalentemente delle novità del Ddl in materia di lavoro a tempo determinato e delle altre tipologie contrattuali, a cui seguirà un fitto calendario di interventi che avranno ad oggetto l’analisi della disciplina dei licenziamenti, il nuovo rito processuale, le dimissioni “in bianco”, gli ammortizzatori sociali, ecc...

Scopo di tutto questo ampio ed articolato programma della Fondazione è quello di offrire un contributo costruttivo a tutti coloro che si occupano di diritto del lavoro e che, durante il prossimo iter parlamentare della Riforma, potrebbero evidenziare delle criticità meritevoli di essere prese in considerazione.

Intanto, nella circolare n. 6/2012, i Consulenti del Lavoro sottolineano come l’articolo 8 del Disegno di legge modifichi radicalmente alcune disposizioni riguardanti il contratto di lavoro a progetto, al fine di evitare un uso distorto dello stesso.

In particolare, la riforma del lavoro prevede una definizione più stringente del progetto che deve possedere i requisiti della “determinatezza” (art. 1346 codice civile); l'eliminazione di qualsiasi riferimento al “programma di lavoro o fasi di esso”; l’impossibilità del datore di lavoro di recedere dal contratto prima della realizzazione del progetto.

Il recesso è, infatti, ammesso solo nell’ipotesi di giusta causa o di inidoneità professionale del collaboratore. Si tratta, dunque, di previsioni che ricalcano sostanzialmente i criteri di recesso dal contratto di lavoro a termine di natura subordinata. E la stessa rigidità prevista per il datore di lavoro viene traslata dalla norma anche in capo allo stesso collaboratore, che può recedere dal contratto prima della scadenza del termine con preavviso solo se tale facoltà è espressamente prevista nel contratto individuale di lavoro.

Ancora, viene analizzata la modifica contenuta nella lettera d) dell'articolo 8 del Ddl. La norma prevede che “salvo prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l'attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell'impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

A tal proposito, la Fondazione studi - ribadendo quanto da sempre sostenuto dalla Commissione principi interpretativi delle leggi in materia di lavoro (principio n. 1/2004) - ha sottolineato come l’articolo 8, comma 2, del Disegno di legge in oggetto introduca un’interpretazione autentica dell’articolo 69, comma 1, del Decreto legislativo n. 276/2003, per cui la mancata individuazione del progetto determina ipso facto la trasformazione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto di lavoro subordinato.

Oggetto di analisi anche il successivo articolo 9 del Disegno di legge, nella parte in cui sostiene che le prestazioni lavorative rese da “persona titolare di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto” sono considerate, salvo prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

Al di là dei presupposti richiesti (collaborazione superiore ai sei mesi durante l’anno solare, corrispettivo superiore al 75% dei corrispettivi complessivi percepiti nello stesso anno solare, lavoro svolto presso una delle sedi del committente), si sottolinea come l’aver aperto la partita Iva non incida in alcun modo sulla natura civilistica del rapporto di lavoro. Dunque, già da ora, l’apporto di un titolare di partita Iva qualifica il rapporto di lavoro come una collaborazione coordinata e continuativa.

La Fondazione studi evidenzia come il riferimento ad ogni “persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’Iva” faccia rientrare in tale fattispecie tanto la prestazione di lavoro che si inquadra nell’attività d’impresa che quella di lavoro autonomo. Al ricorrere, dunque, anche di solo due dei suddetti presupposti ricorre la presunzione del regime di parasubordinazione del rapporto.
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