Sì all'Iva agevolata per l'acquisto della prima casa anche se nel contratto preliminare manca la dichiarazione sul possesso dei requisiti, purché la predetta dichiarazione venga poi resa nell'atto di acquisto.
Con ordinanza n. 9084 del 5 aprile 2024, la Corte di cassazione si è occupata di una vicenda che aveva ad oggetto un avviso di accertamento per imposte dirette, Iva e sanzioni, notificato ad una società di costruzioni.
In contestazione, l'aliquota Iva da applicare agli acconti ricevuti dalla contribuente sulla base di contratti preliminari di compravendita di immobili.
La Commissione tributaria regionale aveva confermato la statuizione con cui i giudici di primo grado avevano escluso l'assoggettamento dei detti acconti all'aliquota Iva agevolata, in quanto negli atti preliminari non risultava indicato espressamente il possesso dei requisiti necessari per beneficiare delle agevolazione prima casa.
Per i giudici tributari, inoltre, era irrilevante che i prescritti requisiti fossero stati indicati nei successivi atti definitivi di trasferimento della proprietà degli immobili.
Di diverso avviso la società contribuente, che aveva impugnato tali conclusioni davanti alla Suprema corte.
Nel suo ricorso in cassazione, la società aveva dedotto la violazione e falsa applicazione della nota II bis dell'articolo 1 della Tariffa, parte prima, del DPR n. 131/1986.
Secondo la sua difesa, era erroneo ritenere che, in assenza della dichiarazione resa nel contratto preliminare circa il possesso dei requisiti per beneficiare della aliquota Iva agevolata per l'acquisto della prima casa, agli acconti dovesse applicarsi l'aliquota ordinaria, visto che detta dichiarazione era stata poi resa nell'atto definitivo di acquisto.
La Sezione tributaria della Cassazione ha giudicato fondato il motivo d'impugnazione.
La richiamata disposizione - si legge nella decisione - prevede che, in caso di cessione soggetta e Imposta sul valore aggiunto, le dichiarazioni da effettuare ai fini dell'applicazione dell'aliquota agevolata - ossia le dichiarazioni di cui alle lettere a), b) e c) previste dal precedente comma 1 - comunque riferite al momento in cui si realizza l'effetto traslativo, possono essere effettuate oltre che nell'atto di acquisto anche in sede di contratto preliminare.
Come affermato la giurisprudenza di legittimità, dunque, l'eventuale pretesa impositiva sulla differenza dell'aliquota applicata deve ritenersi illegittima nelle ipotesi come quella in esame.
Infatti, le somme anticipatamente incassate a qualsiasi titolo (di acconto o caparra confirmatoria) dalla società contribuente per la vendita degli immobili, a condizione che siano ricomprese nel prezzo della compravendita indicato nell'atto di acquisto definitivo, vanno sottoposte a tassazione agevolata, purché al momento della stipula del contratto definitivo sussistano in capo all'acquirente i requisiti per fruirne e lo stesso abbia fatto espressa dichiarazione in detto atto definitivo.
Ne consegue che, qualora gli acquirenti abbiano diritto di fruire dell'agevolazione, debba essere esclusa anche che la pretesa sanzionatoria per irregolare fatturazione.
Risulta indifferente, invero, che la prescritta dichiarazione sulla sussistenza dei requisiti per usufruire della aliquota agevolata sia stata resa in sede di stipulazione del contratto preliminare o solo al momento della conclusione del contratto definitivo.
Difatti, la rilevanza di detta dichiarazione è espressamente riferita, dal Legislatore, alla realizzazione dell'effetto traslativo che scaturisce, appunto, soltanto dalla stipulazione del contratto definitivo.
Nella stessa decisione, gli Ermellini hanno giudicato fondato anche il motivo di ricorso incidentale sollevato dall'Agenzia delle Entrate, relativo al riconoscimento, ai fini tributari, del carattere dell'accessorietà delle prestazioni.
Secondo l'Agenzia, la CTR aveva ritenuto erroneamente applicabile all'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria la medesima aliquota agevolata al 4% prevista per la realizzazione del complesso immobiliare, considerandole accessorie.
Questo, sebbene si trattasse di opere che potevano rispondere a finalità proprie ed ulteriori rispetto alle costruzioni di edifici abitativi e commerciali e per le quali si doveva applicare in ogni caso la disciplina speciale.
Andava stabilito, ossia, se alle opere di urbanizzazione realizzate in occasione della costruzione di un complesso edilizio dovesse applicarsi l'aliquota del 10% o quella agevolata del 4% a cui era stata assoggettata la realizzazione dell'edificio.
A tal fine, occorreva verificare se la realizzazione delle opere di urbanizzazione si ponesse in posizione di accessorietà rispetto alla prestazione principale (realizzazione del complesso immobiliare), oppure se le prestazioni oggetto del contratto d'appalto fossero due e autonomi, come sostenuto dall'Amministrazione finanziaria.
Ebbene, per la Cassazione, la Commissione tributaria regionale, nella sua valutazione, non si era attenuta ai principi espressi dalla giurisprudenza unionale in materia, secondo cui, ai fini Iva, ciascuna prestazione deve essere normalmente considerata distinta e indipendente.
La CTR, per contro, si era limitata ad affermare che l'accessorietà delle opere di urbanizzazione andava desunta dal fatto che si trattava di opere realizzate sulla base di un unico contratto di appalto, accessorie e funzionali al completamento del complesso immobiliare in esame.
I giudici regionali, tuttavia, avevano omesso di esprimersi sull'eventuale autonoma utilità e sulla indispensabilità di dette opere per la realizzazione dell'opera principale, con esclusivo riguardo alle parti del contratto.
Da qui l'enunciazione del seguente principio di diritto:
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