Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire, di per sé, fonte di prova della commissione dei reati tributari.
Le risultanze di dette presunzioni assumono esclusivamente il valore di dati di fatto, liberamente valutabili, come tali, dal giudice penale, unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa.
Le presunzioni, al più, possono solo fondare elementi indiziari atti a giustificare l'adozione di misure cautelari a carico dell'indiziato.
Sono questi i principi già enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e che la Corte di cassazione ha da ultimo richiamato nel testo della sentenza n. 7242 del 18 febbraio 2019.
Gli Ermellini, in particolare, hanno annullato, senza rinvio, una condanna per evasione fiscale pronunciata dai giudici di merito, accogliendo il motivo di ricorso con cui l'imputato aveva lamentato la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui erano stati ricondotti a reddito, sulla base di una presunzione tipica del diritto tributario, i prelievi di cassa dallo stesso operati.
Una presunzione, questa, che la Terza sezione penale della Cassazione ha ritenuto non potesse estendere il suo campo d'azione anche all'accertamento penale dei reati.
Difatti, non risultava che la Corte di merito, nel caso di specie, avesse preso in esame, come indicato dalla giurisprudenza, ulteriori elementi di riscontro per dare certezza dell'esistenza della condotta delittuosa.
I giudici di secondo grado, ossia, per affermare la penale responsabilità del ricorrente, si erano basati esclusivamente sulla esistenza dei citati prelievi di cassa.
In definitiva, è stato disposto l'annullamento della sentenza impugnata, in considerazione dell'insufficienza motivazionale e della violazione di legge insita nella utilizzazione, in ambito improprio, di una presunzione tipica del diritto tributario.
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