La Corte costituzionale, con la sentenza n. 184 del 25 giugno 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 517 del Codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facoltà, per l'imputato, di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena, a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale.
Secondo la Consulta, poiché “le valutazioni dell'imputato circa la convenienza del rito speciale vengono a dipendere anzitutto dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero”, non vi è dubbio che, in seguito al suo errore e al conseguente ritardo nella contestazione dell'aggravante, l'imputazione subisce una variazione sostanziale, sì che “risulta lesivo del diritto di difesa precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali”.
Riconosciuta anche la violazione dell'articolo 3 della Costituzione in quanto con la previsione censurata l'imputato viene irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della valutazione delle risultanze delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero alla chiusura delle indagini stesse.
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