Dopo che sia stata accertata la sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante dovuto alle condizioni generali di detenzione nello Stato membro emittente un mandato d’arresto Ue, l’autorità di esecuzione è tenuta a svolgere un’indagine tesa a stabilire se, nel concreto, l’interessato alla consegna sarà sottoposto ad un trattamento appunto inumano o degradante.
Va effettuato, a tal fine, un supplemento di istruttoria per richiedere con urgenza all’autorità giudiziaria dello Stato emittente “qualsiasi informazione complementare necessaria” in ordine alle condizioni di detenzione previste per la persona di cui sia stata chiesta la consegna nonché all’esistenza di procedimenti e meccanismi nazionali o internazionali di controllo delle condizioni di detenzione che consentano di valutare lo stato effettivo delle condizioni detentive.
E’ quanto precisato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 35255 del 22 agosto 2016, con la quale è stata annullata, con rinvio, la decisione della Corte d’appello di Venezia di consegna alle autorità giudiziarie della Romania, che ne avevano fatto richiesta con mandato d’arresto Ue, di un cittadino rumeno.
La Suprema corte ha quindi disposto un nuovo giudizio in ordine alla questione relativa alla sussistenza dell’ipotesi di rifiuto di cui all’articolo 18, comma 1, lettera h), della Legge n. 69/2005, ed ossia del pericolo che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.
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