La Cassazione ha accolto il ricorso promosso da un contribuente contro la decisione con cui la CTR aveva ritenuto legittimo un accertamento emesso a suo carico dall’Agenzia delle entrate, per una maggiore Irpef a tassazione separata ritenuta dovuta per effetto di una plusvalenza asseritamente realizzata con la cessione di alcuni terreni.
Tra le doglianze, il ricorrente aveva evidenziato come l’accertamento de quo fosse fondato esclusivamente sul valore determinato, ai fini dell’imposta di registro, con altra sentenza di appello, non definitiva, trascurando una serie di elementi probatori dallo stesso offerti.
Il motivo è stato ritenuto fondato dalla Suprema corte la quale ha, in particolare, rilevato come, nelle more del giudizio, fosse intervenuto il Decreto legislativo n. 147/2015.
Quest’ultimo provvedimento, al suo articolo 5, comma 3, prevede che gli articoli 58, 68, 85 e 86 del Testo unico in materia di imposte sui redditi, si interpretino nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggiore corrispettivo non può essere presunta solo sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro ovvero delle imposte ipotecaria e catastale.
E detta norma – precisa la Corte di cassazione nel testo dell’ordinanza n. 24857 depositata il 5 dicembre 2016 – è da ritenersi applicabile anche ai giudizi in corso, atteso l’intento interpretativo chiaramente espresso dal legislatore.
Occorre, infatti, considerare che il carattere retroattivo costituisce elemento connaturale alle leggi interpretative, per come anche più volte affermato dalla Corte costituzionale.
E nella specie, la sentenza impugnata non risultava conforme ai principi di diritto affermati dalla medesima Corte di legittimità, a seguito di ius superveniens.
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