Plusvalenza da cessione. La prova del maggior valore venale al Fisco

Pubblicato il 24 luglio 2014 La Corte di Cassazione – Sesta sezione civile – con ordinanza n. 16705 depositata in data 23 luglio 2014, analizzando la fattispecie di una cessione di un terreno edificabile che ha generato una plusvalenza tassabile come reddito diverso ai sensi degli articoli 67 e 68 Tuir, sancisce che il Fisco può presumere la corrispondenza tra prezzo incassato e valore di mercato. Inoltre, il valore venale di mercato fissato ai fini delle imposte di registro può essere considerato anche ai fini delle imposte dirette ed è onere del contribuente fornire prova contraria.

Presunzione semplice a carico dell’ufficio

Il principio alimenta qualche perplessità dal momento che l’Agenzia delle Entrate, in materia di imposta di registro, può legittimamente accertare un maggior valore rispetto al corrispettivo dichiarato nell’atto di vendita, dato che il Dpr 131/86 (art. 52) prevede la possibilità di un accertamento basato sul valore venale di mercato che può essere determinato appunto assumendo elementi di comparazione ed essere superiore al prezzo di vendita.

Il maggior valore venale di mercato, seppur accettato dal contribuente in sede di accertamento con adesione, tuttavia non può però costituire base di accertamento ai fini delle imposte dirette e divenire onere per il venditore.

Il fatto che, ai fini dell’imposta di registro, sia stato preso in considerazione il valore venale di mercato fissato in misura più elevata può al massimo rappresentare una presunzione semplice per il Fisco e di certo tale presunzione non può far ricadere sul contribuente l’onere della prova. È certo, infatti, che in caso di una presunzione semplice è l’Ufficio a dover integrare la pretesa con elementi aggiuntivi pena la sua nullità.
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