Secondo alcuni recenti sondaggi, il 50% degli scambi mondiali avviene con trasferimenti intragruppo. Ciò basta per tenere in allerta sia le amministrazioni fiscali che i responsabili delle società multinazionali dei cinque continenti, che nel frattempo si stanno facendo sempre più agguerriti sull’argomento. Anche nel nostro Paese l’attenzione sul transfer pricing è aumentata, con la creazione di gruppi specializzati dell’agenzia delle Entrate nel trattamento fiscale di soggetti di grandi dimensioni, e cominciano pure ad essere effettuate verifiche da parte di personale dell’Amministrazione dotato di elevata competenza in materia.
Tra le questioni più dibattute poste dalla disciplina dei prezzi di trasferimenti vi è l’onere della prova che costituisce uno dei tre aspetti che l’Ocse definisce “procedure di ottemperanza”, e che sono: le procedure di verifica, l’onere della prova, il sistema sanzionatorio. Al fine di fare chiarezza sulla correlazione di questi tre elementi, sembra opportuno approfondire la sentenza della Corte di Cassazione n. 22023 del 22 giugno 2006. I Supremi giudici con la loro autorevole presa di posizione sono intervenuti a regolare un caso di transfer pricing, riconoscendo la suddetta disciplina come clausola antielusiva, affermando che l’onere della prova grava in ogni caso sull’Amministrazione che intenda operare la rettifica. Cioè, laddove la disciplina di ciascuna giurisdizione nazionale preveda che sia l’Amministrazione ad essere gravata dall’onere della prova, il contribuente non è tenuto a dimostrare la correttezza dei prezzi applicati, se non dopo che la stessa Amministrazione abbia provato il non rispetto del principio del valore normale.
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