Perdita di chance per concorso annullato. Nesso causale da provare

Pubblicato il 10 maggio 2018

E’ stato respinto il ricorso promosso da una dipendente pubblica contro la decisione di merito che le aveva negato il diritto ad essere risarcita per il danno da perdita di chances, dalla stessa asseritamente subito in conseguenza dell’annullamento di un concorso interno all’amministrazione, per illegittime modalità di svolgimento.

La Corte d’appello aveva confermato la decisione di primo grado sottolineando, tra gli altri motivi, l’omessa allegazione di elementi idonei a provare che il concorso avrebbe avuto, con elevata probabilità, esito positivo per la deducente, non ritenendosi idonea, per un profilo attinente ancora all'an piuttosto che quantum del danno, l'adozione, dalla stessa richiesta, di parametri puramente statistici, tra cui quello della proporzione tra i partecipanti al concorso e i posti disponibili.

Da qui l’impugnazione in sede di legittimità dell’interessata, secondo la quale ogni conseguenza lesiva a proprio danno discendeva dagli esiti non favorevoli del concorso illegittimo e quindi dalla perdita delle corrispondenti chances.

Per la stessa, la dimostrazione probabilistica della perdita di chances avrebbe dovuto essere tratta dai giudici di merito, in considerazione del fatto che, a fronte di una procedura concorsuale illegittima, in mancanza di concrete risultanze circa il possibile esito della selezione, “solo l'esclusione con adeguata sicurezza della possibilità del lavoratore di ottenere un esito positivo avrebbe potuto impedire il risarcimento, potendosi semmai ricorrere, per stabilire il nesso causale tra illegittimità e danno, al criterio residuale del rapporto tra il numero dei soggetti da selezionare ed il numero di quelli che avevano concorso alla selezione”. E con l’applicazione di questo criterio si sarebbe ricavata una percentuale di esito positivo pari al 55 % e, quindi, superiore alla metà.

Motivi, questi, ritenuti infondati dalla Corte di legittimità, con la sentenza n. 11165 del 9 maggio 2018.

Prova del nesso a carico del ricorrente

In primo luogo, la Corte ha sottolineato l'infondatezza dell'assunto secondo cui la prova di un'illegittimità nei comportamenti concorsuali datoriali comporterebbe, di per sé, il diritto al risarcimento del danno, a meno che il datore di lavoro dimostri l'insussistenza di concrete possibilità di vittoria in capo al lavoratore interessato.

Sul punto, è stato richiamato l’orientamento secondo cui "in tema di risarcimento del danno per perdita di chance di promozione, incombe sul singolo dipendente l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo, il nesso di causalità tra l'inadempimento datoriale e il danno, ossia la concreta sussistenza della probabilità di ottenere la qualifica superiore".

Di seguito, proprio in ordine alla prova del nesso causale, gli Ermellini hanno sostenuto che non fosse censurabile la statuizione di merito con cui era stato ritenuto inidoneo un criterio meramente statistico basato sul rapporto tra partecipanti e posti disponibili e sulla verifica, propugnata da parte ricorrente, che tale rapporto supererebbe il 50 %.

E’ stato, quindi, ribadito, sul punto, come la giurisprudenza di legittimità si attesti, piuttosto, su parametri valutativi che richiedono l'apprezzamento del probabile trasformarsi della chance in reale conseguimento del beneficio in termini di "elevata probabilità, prossima alla certezza".

Impostazione, quest’ultima, avvalorata, “in quanto è chiaro che una cosa è la determinazione di un nesso causale tra un comportamento ed un danno certo ed altro è stabilire i criteri di valutazione della rilevanza di un pregiudizio che, pur essendo cagionato anch'esso dal comportamento altrui, è addirittura incerto nella sua reale verificazione in senso giuridico (ovverosia quale perdita di un'utilità che si avesse diritto ad avere), quale è il danno da perdita di chance”.

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