Non è necessario, per aversi il reato di autoriciclaggio, che il bene proveniente dal reato presupposto sia reimpiegato in un’attività economica lecita.
La precisazione giunge dalla sentenza n. 38422 del 9 agosto 2018 della seconda sezione penale della Corte di cassazione, che ha trattato il caso di un dirigente amministrativo di un tribunale accusato di truffa, per avere richiesto agli utenti un numero superiore di valori bollati per poi tenere quelli in eccesso.
Il Gip aveva disposto la misura cautelare interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio per un anno, ma il Tribunale del riesame aveva limitato la misura ritenendo che non era stato dimostrato l’ulteriore requisito della condotta costituito dall’impiego del medesimo bene in un’attività economica lecita, richiesto dalla normativa.
I magistrati della cassazione, valutando il ricorso presentato dal procuratore della Repubblica contro il dispositivo del Tribunale del riesame, hanno accolto le doglianze sostenendo che non può essere accettata l’interpretazione che vede l’ambito di applicazione dell’art. 648ter1 c.p. limitato al reimpiego del bene provento del reato in attività economica lecita
La condotta richiesta nel reato di autoriciclaggio deve essere idonea a far ritenere che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo ma sempre con l’intento di occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto.
Non è condivisibile, quindi:
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".