Per l’accertamento induttivo solo dati certi e non valori statistici

Pubblicato il 07 settembre 2009

Con la sentenza n. 18020/2009, i supremi giudici della Corte di Cassazione hanno ripreso e rafforzato un orientamento già espresso dai giudici di legittimità in materia di accertamento induttivo. In caso di impedimento nel fornire le prove documentali richieste dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento dei redditi, quest’ultima non può applicare ai ricavi una percentuale di redditività presunta, cioè non è possibile usare come base di calcolo, le percentuali medie di redditività, rispetto al fatturato, riscontrate in aziende similari. Secondo la Corte di Cassazione, "i valori percentuali medi del settore rappresentano non tanto un fatto noto storicamente verificato (sul quale è possibile fondare una presunzione di reddito), ma solo il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei , che fissa solo una regola di esperienza che non evidenzia elementi gravi e precisi". Dunque, le presunzioni di reddito fatte dal Fisco sulla base di questi elementi non possono in nessun caso essere prese come base per l’accertamento induttivo del reddito d’impresa, a meno che non siano supportate da altre risultanze. Cioè, i suddetti valori statistici non possono in nessun caso integrare i presupposti dell’articolo 39, del dpr 600/73, per la ricostruzione del reddito accertato.


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