Per la sospensione del processo con messa alla prova non contano le aggravanti
Pubblicato il 14 febbraio 2015
Il presupposto per l’applicazione
dell’art. 168bis c.p. – ovvero la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato - è dato esclusivamente dalla
soglia edittale prevista per ciascun tipo di reato, senza che rilevi l’eventuale contestazione di
aggravanti.
E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con
sentenza n. 6483 depositata il 13 febbraio 2015, in accoglimento del ricorso presentato dagli imputati, avverso un'ordinanza del G.u.p.
Con il provvedimento impugnato, in particolare, il giudice aveva respinto la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputatati, chiamati a rispondere per il reato di cui all’art. 73 Legge sugli Stupefacenti.
Ciò poiché era stata ad essi contestata un’aggravante, che aveva portato la pena inflitta oltre i quattro; limite edittale imprescindibile per l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 168bis c.p.
In proposito, ha tuttavia stabilito la Cassazione, come l’interpretazione dell’art. 168bis c.p. – che rintraccia i presupposti oggettivi cui va subordinata l’applicazione dell’istituto ivi previsto – debba essere strettamente ancorata al testo, nel quale, oltre alla soglia edittale, non vi è alcun riferimento alla contestazione di aggravanti.
D’altra parte, tale interpretazione restrittiva risponde proprio alla funzione deflattiva tipica dell’istituto in questione.
Conclusivamente – ha dunque dedotto la Suprema Corte – deve affermarsi che nella individuazione dei reati attratti nella disciplina di cui all’art. 168 bis c.p., in ragione del
mero riferimento edittale, deve guardarsi unicamente alla pena massima prevista per ciascuna ipotesi di reato, prescindendo dal rilievo che, nel caso concreto, potrebbe assumere la contestazione di qualsivoglia aggravante, comprese quelle ad effetto speciale.