Per il riconoscimento di prestazioni sociali volte a rispondere ai bisogni primari della persona – come nel caso della pensione di invalidità civile – non è consentita, nel nostro ordinamento, alcuna differenziazione tra cittadini italiani e stranieri che hanno titolo al soggiorno nel territorio dello Stato italiano.
Questo, alla luce degli articoli 2 e 3 della Costituzione.
E’ quanto ricordato dalla Corte di cassazione nel testo dell’ordinanza n. 23763 del 1° ottobre 2018, con cui è stata cassata, con rinvio, una decisione della Corte d’appello che aveva condannato l’INPS a corrispondere la pensione di invalidità civile ad una cittadina straniera soltanto a decorrere dalla data in cui questa aveva ottenuto il permesso di soggiorno di lungo periodo.
L’impugnazione della donna a quest’ultima decisione è stata ritenuta fondata dai giudici della Sezione Lavoro della Cassazione alla stregua dell’orientamento formatosi nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, in conformità con una serie di pronunce emesse in materia dalla Corte costituzionale (quali le n. 306/2008, n. 11/2009, n. 187/2010, n. 40/2013, n. 329/2011, n. 22/2015, n. 230/2015).
In queste, la Consulta ha ribadito che qualora si tratti di provvidenze destinate al sostentamento della persona nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare, qualsiasi differenza di trattamento fra cittadini e stranieri legittimamente soggiornanti nel territorio italiano risulta in contrasto con il principio di non discriminazione.
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