Decisione di Cassazione sulle pene accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta che si discosta dalle conclusioni della Corte costituzionale.
Le pene accessorie applicabili per il reato di bancarotta fraudolenta a norma dell'articolo 216, ultimo comma, Legge fallimentare, nella formulazione derivata dalla sentenza n. 222/2018 della Consulta, devono essere commisurate alla durata della pena principale, in quanto, essendo determinate solo nel massimo, sono soggette alla disciplina di cui all'articolo 37 del Codice penale.
E' quanto concluso dalla Corte di cassazione, Quinta sezione penale, con sentenza n. 1963 del 16 gennaio 2019, nella quale i giudici di legittimità analizzano quelli che sono gli effetti della recente sentenza pronunciata, in materia, dalla Corte costituzionale.
In quest’ultima, si rammenta, era stata ritenuta illegittima la previsione di pene accessorie di durata fissa decennale nelle condanne per bancarotta fraudolenta; inoltre, si era giunti alla conclusione che la durata delle dette pene accessorie avrebbe dovuto essere determinata discrezionalmente e “caso per caso” dal giudice penale, fino al tetto massimo di dieci anni.
Discostandosi da detto ultimo assunto, la Suprema corte, con la sentenza odierna, ha ritenuto che la prospettiva interpretativa resa dalla Consulta potrebbe condurre all’irrogazione di una pena accessoria di durata maggiore di quella della pena principale.
Un’interpretazione, ossia, non in linea con il tenore letterale dello stesso articolo 37, così come interpretato dalle Sezioni Unite (n. 6240/2015), e potenzialmente foriera di esiti in malam partem.
Da qui, l’affermazione che le pene accessorie devono essere commisurate alla durata della pena principale.
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