E’ legittima la qualificazione del delitto di peculato sancita dalla Legge “Spazzacorrotti”, per come fondante la presunzione legale di accentuata pericolosità?
Il quesito è stato rivolto alla Corte costituzionale dalla Prima sezione penale della Cassazione, sul rilievo che il reato di peculato, in forza della ultima novella legislativa, risulta posizionato all'interno dell'art. 4 bis comma 1 dell’Ordinamento penitenziario.
Con tale modifica - ha spiegato la Suprema corte - il peculato entra a far parte della famiglia delle fattispecie cosiddette ostative, nel senso che l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione (esclusa la liberazione anticipata) possono essere concesse ai condannati per peculato solo nelle ipotesi di collaborazione effettiva con la giustizia o nei casi di collaborazione impossibile o inesigibile e sempre in presenza di avvenuta acquisizione di elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.
Nel dettaglio, con ordinanza n. 31853 del 18 luglio 2019, la Suprema corte ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6, lett. b) della Legge n. 3/2019, cosiddetta Legge "Spazzacorrotti"o "Anticorruzione", nella parte in cui inserisce all'art. 4-bis, comma 1, della Legge n. 354/1975 il riferimento al delitto di peculato di cui all'art. 314, primo comma, del Codice penale.
Il dubbio sollevato degli Ermellini verte sulla considerazione della esistenza o meno di una congrua base logico-empirica capace di sostenere la avvenuta qualificazione del delitto di peculato come fondante la descritta presunzione di pericolosità sociale.
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