La nullità del “patto di non concorrenza” deve essere valutata sotto due profili: il primo, di carattere generale, riguarda l’oggetto del patto, vale a dire l’indeterminatezza o l’indeterminabilità ai sensi dell’art. 1346 cod. civ., il secondo concerne invece la nullità del patto in caso di corrispettivo simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, ossia la violazione dell’art. 2125 cod. civ.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 5540 dell’1 marzo 2021, ha accolto il ricorso di una banca che aveva vincolato una dipendente al patto di non concorrenza prevedendo un compenso di 18 mila euro spalmato su tre anni.
La vicenda riguarda una lavoratrice alla quale il datore di lavoro ha riconosciuto, a titolo di “patto di non concorrenza”, un corrispettivo annuo, dunque in costanza di rapporto di lavoro, pari a 6.000 euro per tre anni, per un totale di 18.000 euro.
Tale somma, in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro, veniva riconosciuta alla dipendente per la parte maturata in ragione d’anno o frazione d’anno.
Poiché il rapporto è cessato, la lavoratrice aveva maturato il diritto a percepire, a tale titolo, unicamente la somma pari a 3.000 euro.
I giudici di secondo grado hanno dichiarato il patto nullo, poiché il corrispettivo riconosciuto non era determinato o determinabile.
Gli ermellini, però, rilevano che:
In altri termini, la Cassazione ha evidenziato come la circostanza che il riconoscimento di tale somma fosse variabile in quanto legato alla durata del rapporto di lavoro. Infatti, il compenso non poteva essere equiparato a una situazione di indeterminatezza del compenso sulla base di parametri oggettivi, poiché in caso di cessazione anticipata veniva riconosciuta una somma inferiore. Questo perché il corrispettivo era comunque determinato in quanto fissato nella somma pari a 18.000 euro in 3 anni.
Di conseguenza, la Suprema Corte ha spiegato che il patto di non concorrenza, anche se stipulato contestualmente al contratto di lavoro subordinato, rimane autonomo da questo, sotto il profilo prettamente causale, per cui il corrispettivo con esso stabilito, essendo diverso e distinto dalla retribuzione, deve possedere soltanto i requisiti previsti in generale per l'oggetto della prestazione dall'art. 1346 cod. civ., quindi, deve essere determinato o determinabile.
Infine, afferma la sentenza, in tema di rapporti di scambio, lo squilibrio economico originario delle prestazioni non può comportare la nullità del contratto perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell'autonomia negoziale.
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