Pasto da casa durante la refezione scolastica? Non esiste un diritto soggettivo

Pubblicato il 31 luglio 2019

Esiste un diritto soggettivo all'autorefezione individuale, ovvero alla scelta dei genitori, per i propri figli, del pasto portato da casa al posto della refezione scolastica?

Pasto da casa, questione sottoposta alla Cassazione

Le Sezioni Unite civili della Cassazione sono state investite della soluzione di detta questione di massima, ritenuta di particolare importanza e concernente, appunto, la configurabilità di un diritto soggettivo, in capo ai genitori degli alunni delle scuole elementari e medie, di scegliere tra la refezione scolastica e il pasto portato da casa e consumato nei locali della scuola o, comunque, nell’orario destinato alla refezione scolastica.

La questione era stata sollevata alla luce della normativa di settore e dei principi costituzionali in tema di diritto all’istruzione, all’educazione dei figli e all’autodeterminazione individuale, in relazione alle scelte alimentari.

In particolare, era stato chiesto se una determinata sentenza del Consiglio di stato (la n. 5156/2018) potesse essere interpretata in senso ricognitivo di un simile diritto.

Detta ultima decisione aveva confermato l’annullamento, per eccesso di potere, di una delibera comunale che vietava, nei locali di refezione scolastica, il consumo, da parte degli alunni, di cibi diversi da quelli forniti dalla ditta appaltatrice del servizio.

Diritto all’autorefezione non configurabile. Soluzione negativa delle Sezioni Unite

La Suprema corte di Cassazione, con sentenza n. 20504 del 30 luglio 2019, è intervenuta sulla specifica questione, formulando, a sua soluzione, un apposito principio di diritto.

Secondo le SS.UU., in particolare, non sarebbe configurabile un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici.

Detto diritto, non essendo configurabile, non può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario, in favore degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado, i quali, però, “possono esercitare diritti procedimentali, al fine di influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, in attuazione dei principi di buon andamento dell’amministrazione pubblica”.

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