Ordine commercialisti di Milano. Errata l'interpretazione della Corte sui compensi agli amministratori

Pubblicato il 09 settembre 2010

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 18702, del 13 agosto scorso, sull’indeducibilità dei compensi degli amministratori delle società di capitali fino al 31 dicembre 2003, continua a destare clamore.

Questa volta è l’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Milano ad esprimersi in proposito.

La motivazione sulla non applicabilità del regime di deducibilità agli emolumenti, prevista dall’articolo 62 del Dpr 917/1986, per i Supremi giudici è da ravvisare nel fatto che la posizione dell'amministratore delle società di capitali è equiparabile “sotto il profilo giuridico, a quella dell'imprenditore, non essendo individuabile, in relazione alla sua attività gestoria, la formazione di una volontà imprenditoriale distinta da quella della società, e non ricorrendo quindi l'assoggettamento all'altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione”.

Per l’Ordine, invece, si tratta di un’interpretazione erronea dell'articolo 62, che riconduceva le spese per le prestazioni di lavoro nella categoria del reddito d’impresa, fino al 1° gennaio 2004. Ora, invece, anche se la questione è stata superata dall’articolo 95 del Tuir, che estende il principio della generale deducibilità per cassa dei compensi, rimane in atto il contenzioso pendente. Per tali ragioni, l’Ordine di Milano confida in una rapida modifica dell’ordinanza, da dover a questo punto considerare un “semplice incidente di percorso giurisprudenziale”.

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