Busta paga e modello cud costituiscono documenti dai quali emerge la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro e della sua durata.
Tali documenti sono quindi sufficienti a provare il credito vantato dal lavoratore, il relativo titolo e la connessa quantificazione e per essere ammessi al passivo dell’azienda sequestrata.
Lo ha puntualizzato la Corte di Cassazione con sentenza n. 2147 del 17 gennaio 2025, nel pronunciarsi sul ricorso di un lavoratore contro un'ordinanza emessa dal Tribunale, il quale aveva respinto l'opposizione giudiziale dallo stesso proposta in relazione allo stato passivo conseguente a un sequestro giudiziario.
L'opposizione riguardava l'esclusione di un credito relativo al trattamento di fine rapporto (TFR) maturato durante un periodo di lavoro svolto presso della società datrice, sottoposta a sequestro.
A sostegno della propria posizione, il ricorrente aveva prodotto buste paga e modelli CUD, per dimostrare l’esistenza del credito.
Il Tribunale aveva rigettato l’opposizione ritenendo che non fosse stato adeguatamente dimostrato né il rapporto di lavoro né la sua continuità nel periodo antecedente al sequestro.
La Corte di Cassazione ha giudicato fondato il ricorso, richiamando principi consolidati della giurisprudenza.
Ha in particolare ribadito che le buste paga e i modelli CUD, se correttamente redatti e completi dei requisiti di legge, rappresentano una prova sufficiente dell’esistenza del credito vantato, fatta salva la possibilità per la controparte di dimostrare il contrario.
In particolare, la Corte ha sottolineato come tali documenti, pur non vincolanti, abbiano un valore probatorio significativo nel dimostrare il credito insinuato nello stato passivo, a meno che non vengano confutati con argomentazioni e prove documentate dall’amministratore giudiziario.
Con riguardo alla ripartizione dell’onere della prova, la Corte ha stabilito che, una volta presentata documentazione idonea dal lavoratore, è compito dell’amministratore giudiziario o del curatore fallimentare confutarne la validità e dimostrare l’inesattezza delle risultanze.
La regolare tenuta dei registri lavorativi e la completezza della documentazione prodotta assumono, dunque, un ruolo cruciale nell'accertamento dei crediti.
In conclusione, la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata, rinviando il caso al Tribunale in diversa composizione per un nuovo giudizio.
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