Nel giudizio di risarcimento danni da illegittima occupazione di un terreno da parte della pubblica amministrazione - atteso che oggetto della pretesa azionata non è tanto il diretto e rigoroso accertamento della proprietà del fondo, quanto piuttosto l’individuazione del titolare del bene avente diritto al risarcimento – non è richiesta la c.d. probatio diabolica, ossia la prova rigorosa della proprietà.
Il convincimento del giudice in ordine alla legittimazione alla pretesa risarcitoria, può difatti formarsi sulla base di qualsiasi elemento documentale e presuntivo sufficiente ad escludere un’erronea destinazione del pagamento dovuto.
Orbene, nel caso qui in esame, si è ritenuto correttamente idoneo l’atto pubblico di provenienza del bene, in mancanza di specifiche contestazioni di controparte.
Quanto al danno risarcibile, sempre in tema di occupazione illegittima, si ricorre pacificamente (secondo costante giurisprudenza di legittimità) alla categoria del danno in re ipsa, ricollegando, ossia, il danno patito alla perdita delle disponibilità del bene (di natura fruttifera) ed alla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile.
L’esistenza del danno, in altre parole, costituisce oggetto di una presunzione iuris tantum, superabile solo ove si accerti - e nella specie, ciò non è avvenuto - che il proprietario si sia intenzionalmente disinteressato all'immobile.
E’ tutto quanto chiarito dal Consiglio di Stato, quarta sezione, con sentenza n. 897 del 27 febbraio 2017.
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